Transazione sul demansionamento tassabile in assenza della prova del danno non patrimoniale subito dal dipendente

3 Aprile 2023
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Il dipendente che, a seguito del giudizio davanti al tribunale del lavoro per il risarcimento del danno da demansionamento, sottoscrivendo una transazione con l’Amministrazione comunale senza alcuna distinzione del danno risarcibile, né provando il danno non patrimoniale subito, dovrà pagare le imposte sugli importi ricevuti a titolo del risarcimento oggetto di transazione. Sono queste le conclusioni della Cassazione (sentenza n.8615/2023) che ha riformato la sentenza dei giudici tributari di appello.

Il fatto

Un Comune ha sottoposto a tassazione le somme relativa ad una transazione avvenuta con un dipendente, a fronte di una causa civile riguardante un asserito demansionamento. Il dipendente, quindi, chiedeva il rimborso delle somme IRPEF trattenute all’Agenzia delle Entrate. Avverso la decisione del mancato rimborso il dipendente ha adito la Commissione provinciale e successivamente quella regionale, dove quest’ultima dava ragione al dipendente. L’Agenzia delle Entrate ha, quindi, proposto ricorso in Cassazione, evidenziando l’errore dei giudici tributari di appello per non aver considerato che la transazione, sottoscritta tra datore di lavoro e lavoratore, interveniva nell’ambito di un giudizio di demansionamento e che la stessa prevedeva la corresponsione di una somma a titolo di “risarcimento del danno morale, professionale e biologico” senza operare alcuna distinzione, con la conseguenza che le somme avrebbero dovuto essere soggetto a tassazione.

La riforma della sentenza

Per i giudici di Piazza Cavour il motivo del ricorso è fondato, in quanto non risulta che la transazione abbia distinto le voci risarcitorie, né risulta in alcun modo che sia stato verificato un danno “morale” o “biologico”, comunque non patrimoniale a seguito del demansionamento, oggetto della controversia cui la transizione ha posto fine. Infatti, ricorda il giudice di legittimità, come le somme che vengano riconosciute al fine di risarcire il danno inerente al mancato percepimento di un reddito da lavoro – presente o futuro – ivi compresa dunque l’inabilità temporanea, (lucrum cessans) sono soggette alla tassazione del reddito che il risarcimento è preposto a sostituire od integrare. A diversa conclusione di giunge, invece, nel caso in cui se il risarcimento riguarda danni non patrimoniali, oppure per quei danni che non possono essere comunque assimilati ad ‘un reddito, bensì al patrimonio (c.d. danno emergente). Pertanto, in presenza da un danno da demansionamento occorre appunto distinguere fra danni derivanti da perdita di reddito, sicuramente tassabile, e quello derivante dall’impoverimento della capacità professionale, con connessa perdita di chances, biologico, medicalmente accertabile, esistenziale, cioè il pregiudizio di natura non meramente emotiva ed interiore, che ne alteri le abitudini e gli assetti relazionali, morale, da sofferenza interiore, ed infine all’immagine professionale ed alla dignità personale, non tassabili. Nel caso di specie, il risarcimento del danno oggetto di transazione non distingue le tipologie di danno, rimanendo la sussistenza dei suddetti presupposti affidata dalla sentenza impugnata alla mera dichiarazione delle parti ed è ben lungi dall’aver esaminato eventuali prove il cui onere incombe sul contribuente. Il giudice di appello, pertanto, non ha fatto buon uso delle citate regole impresse dal giudice di legittimità con la conseguenza che il ricorso dell’Agenzia delle Entrate deve essere accolto con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, in diversa composizione per la decisione nel merito della controversia sulla base dei principi di diritto esposti.

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