Il fatto
In mancanza del pagamento dei difensori di alcuni dipendenti assolti in un procedimento penale (sentenza di archiviazione del GIP), la questione è giunta davanti al giudice ordinario a seguito di impugnativa del decreto ingiuntivo dei dipendenti pari alle somme dovute ai propri legati. Il Tribunale di primo grado e la Corte di appello hanno rigettato la richiesta intesa ad ottenere la condanna in via diretta del Comune al pagamento delle spese legali. I giudici di appello, infatti, non contestavano la fattura degli avvocati difensori, quanto che sussistesse un diritto del predetto legale di avanzare, in via diretta, la richiesta di pagamento nei confronti del Comune, trattandosi di rapporti tra la parte datoriale e i prestatori. Le disposizioni contrattuali, infatti, prevedono, inoltre, che solo se difetta un conflitto di interessi fin dall’apertura del procedimento e se il legale nominato è di comune gradimento, mancando nel caso di specie, nasce un diritto al rimborso delle spese legali dei dipendenti assolti nel procedimento penale. A dire della Corte di appello, l’ente avrebbe dovuto esprimere attraverso un comportamento non meramente passivo, ma attivo il comune gradimento del legale difensore e tanto in ragione della necessità di rispettare anche i vincoli di bilancio, mentre nel caso di specie etto comportamento attivo era mancato del tutto.
La questione è giunta in Cassazione dove i dipendenti a sostegno della loro tesi, hanno censurato la motivazione contenuta nella sentenza di appello nella parte in cui è stato sostenuto che “l’onere di manleva impone che il Comune si attivi espressamente per la difesa del proprio dipendente e non rimanga passivo”, mentre per il ricorrente la sola inerzia della parte datoriale è sufficiente ad escludere la posizione giuridica di vantaggio contemplata nella norma contrattuale.
La conferma della Cassazione
Per i giudici di legittimità la disposizione contrattuale (art.28 CCNL Enti locali) prevede che “L’ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista un conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento”. L’interpretazione letterale della norma evidenzia in primis che la P.A. con la previsione di cui all’art. 28 non è tenuta ad un rimborso delle spese legali, quanto piuttosto a tenere indenni da dette spese i funzionari che abbiano agito in nome e per conto dell’ente. Perché la norma possa applicarsi, occorre, quindi, che sussista una vera e propria convergenza di interessi tra il lavoratore e la parte datoriale pubblica e dunque l’assenza del conflitto predicato dalla disposizione.
Erra, pertanto, la difesa dei ricorrenti nel sostenere che il comune gradimento in ordine al legale prescelto potrebbe desumersi anche da un comportamento silente da parte della P.A. Infatti, secondo la Cassazione, la P.A. deve avere interesse alla difesa, ossia della comunanza di interessi con il lavoratore alla difesa, sicché la scelta di assumere a proprio carico le spese legali del dipendente non può che postulare un comportamento attivo, con positiva valutazione del gradimento (anche ai fini degli oneri di spesa). Pertanto, la disposizione contrattuale lungi dal prevedere un obbligo di rimborso delle spese legali in favore del dipendente, individua le ipotesi nelle quali la P.A. assuma, fin dall’inizio, e quindi con evidente comportamento attivo, la difesa del proprio dipendente stante l’assenza di conflitto, da valutarsi, come si è anticipato, ex ante.
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