di MATTEO RIZZI (ItaliaOggi, 17/11/2023)
Ieri la Commissione europea ha lanciato l’accusa nei confronti di Italia (ma anche Grecia e Belgio) per la non corretta applicazione della direttiva 2011/7/UE sui ritardi di pagamento. La direttiva in questione impone alle autorità pubbliche di saldare le fatture entro 30 giorni (60 giorni nel caso degli ospedali pubblici). Rispettare questi termini non è solo un obbligo formale ma rappresenta un gesto significativo nella lotta contro la diffusa “cultura” dei ritardi di pagamento nel mondo delle imprese, sottolinea la Commissione europea in una nota. Tale cultura, per la Commissione, ha effetti negativi sulle imprese, limitandone la liquidità, ostacolando la crescita, potenzialmente vanificando gli sforzi per abbracciare pratiche più sostenibili e digitali. La decisione della Commissione di deferire l’Italia è motivata anche da una normativa nazionale che esclude il noleggio di apparecchiature per intercettazioni telefoniche dal campo di applicazione della direttiva sui ritardi di pagamento.
Questa esclusione mette i fornitori di tali servizi in una posizione precaria, privandoli delle garanzie di pagamento entro i termini di legge e impedendo loro di far valere i loro diritti secondo la direttiva. È rilevante notare che la procedura di infrazione è stata avviata nel 2021, ma l’Italia non ha ancora proposto alcuna modifica per conformare la propria normativa e prassi alla direttiva. La storia delle infrazioni legate alla direttiva non è nuova per l’Italia, poiché nel 2020 la Corte Ue aveva già condannato Roma per la violazione della direttiva europea sulla lotta contro i ritardi di pagamento.
La Corte aveva respinto le argomentazioni italiane, sottolineando la necessità di obblighi rafforzati per gli stati membri in relazione alle transazioni tra imprese e pubbliche amministrazioni. Ieri la Commissione ha deciso anche di inviare un parere motivato all’Italia per il mancato rispetto delle norme dell’Ue in materia di coordinamento della sicurezza sociale. Nel marzo 2022 l’Italia ha introdotto il nuovo assegno familiare per i figli a carico: solo coloro che risiedono per almeno 2 anni in Italia possono beneficiare di tale prestazione, e solo se vivono nello stesso nucleo familiare dei figli. Secondo il parere della Commissione, questa impostazione viola il diritto Ue, in quanto non tratta i cittadini dell’Ue in modo equo, e pertanto si qualifica come discriminazione.
In collaborazione con Mimesi s.r.l.* Articolo integrale pubblicato su Italiaoggi del 17 novembre 2023.
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