Revisore revocato dall’incarico se nell’autocertificazione anche un solo elemento non corrisponde al vero

2 Febbraio 2024
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Nella autocertificazione degli incarichi l’aver il revisore dei conti indicato lo svolgimento di un incarico triennale in un ente locale, rilevatosi non veritiero in termini di durata, è sufficiente per dichiarare legittima la sua revoca. Sono queste le indicazioni del TAR per la Sicilia (sentenza n. 380/2024) che ha confermato la revoca all’incarico di un revisore contabile.

Il fatto

A seguito della domanda un revisore ha dichiarato una pluralità di incarichi triennali ricevuti presso altri enti locali, tanto da essere stati successivamente scelto. A seguito della verifica postuma sulle dichiarazioni rese, è emerso che il revisore avesse dichiarato di aver svolto un incarico triennale presso un ente locale, non corrispondente al vero in termini di durata che, invece, era inferiore ai tre anni richiesti nell’avviso pubblico. Il commissario straordinario dopo aver attivato la procedura di avvio della decadenza dall’incarico, ne disponeva la revoca definitiva non avendo considerato sufficienti le controdeduzioni del revisore estromesso.
Avverso la revoca dell’incarico ha presentato ricorso davanti al giudice amministrativo il revisore estromesso, sostenendo l’illegittimità del provvedimento per non avere il provvedimento di autotutela indicato alcuna indicazione dell’interesse pubblico idoneo a sorreggere l’esercizio del potere di autotutela, né alcuna comparazione di tale interesse con quello privato contrapposto e sacrificato. Inoltre, se è vero che l’incarico svolto non fosse esattamente pari al periodo triennale richiesto, tuttavia, l’incarico esisteva anche se per una durata di poco inferiore al triennio. D’altra parte, avendo sostenuto di aver ricevuto altri incarichi di durata triennale, la dichiarazione oggetto di ripresa su di un solo ente locale sarebbe improduttiva di effetti e tale da legittimare il provvedimento di decadenza. In altri termini, a dire del revisore estromesso, la sanzione comminata sarebbe sproporzionata oltre che irragionevole. Nel ricorso presentato, pertanto, il revisore dichiarato decaduto in modo illegittimo ha chiesto il ristoro dei danni asseritamente derivanti dal provvedimento impugnato, coincidenti con il compenso spettante per l’esercizio delle funzioni a partire dalla data di revoca e sino all’auspicata reintegrazione nelle sue funzioni.

Il rigetto del ricorso

Per il Collegio amministrativo di primo grado il ricorso è stato giudicato infondato. Nel caso di specie, infatti, si sarebbe al cospetto della decadenza prevista dall’art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 per dichiarazioni non veritiere. A differenza di quanto evidenziato nel ricorso, in merito all’assenza di precise indicazioni dell’interesse pubblico idoneo a sorreggere l’esercizio del potere di autotutela, ovvero di una motivazione che contrapponga tale interesse rispetto a quello privato, il ricorso non coglie nel segno. Infatti, da pacifico e condivisibile orientamento della giurisprudenza amministrativa è stato evidenziato come i parametri normativi non soccorrono laddove, come nel caso di specie, venga in rilievo il distinto potere di verifica del possesso dei requisiti di partecipazione ad una selezione pubblica rispetto a quanto dichiarato in sede di domanda di ammissione. D’altra parte, in materia di annullamento d’ufficio, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. sentenza 17 ottobre 2017, n. 8) ha avuto modo di evidenziare che “…la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte”.

In ogni caso, a dire del Collegio amministrativo di primo grado, in caso di dichiarazione non corrispondente al vero, l’autore risponde come se avesse prodotto un titolo di studio falsificato nella parte del voto/giudizio. Nel caso di specie, pertanto, il ricorrente ha prodotto una dichiarazione non veritiera, con conseguente applicazione dell’art. 75 del D.P.R. n. 445 del 2000 il quale comportava l’automatica decadenza dalla nomina, non residuando, nell’applicazione della predetta norma, alcun margine di discrezionalità alle Amministrazioni che, in sede di controllo (d’ufficio) ex art. 71 del medesimo Testo Unico, si avvedano della (oggettiva) non veridicità delle autodichiarazioni, posto che tale norma prescinde, per la sua applicazione, dalla condizione soggettiva del dichiarante, attestandosi (unicamente) sul dato oggettivo della non veridicità delle dichiarazioni.

La giurisprudenza amministrativa ha, inoltre, ritenuto che, nelle selezioni pubbliche il c.d. falso innocuo è istituto insussistente, atteso che la completezza/correttezza delle dichiarazioni è già di per sé un valore da perseguire in ossequio al principio di buon andamento dell’amministrazione e che non può essere considerato innocuo né irrilevante il falso potenzialmente in grado di incidere sulle determinazioni dell’Amministrazione. Pertanto, non è possibile revocare in dubbio, come il ricorrente abbia conseguito, per effetto della dichiarazione in discorso, un’utilità sostanziale in quanto essa, quanto meno potenzialmente, ha inciso sulla sua nomina alla carica di Presidente del Collegio dei revisori. D’altra parte, la di decadenza prevista nell’avviso che sanziona in via automatica l’estromissione dalla nomina il candidato che abbia reso dichiarazioni non veritiere, a dire del Collegio amministrativo, è da considerarsi del tutto congrua e proporzionata rispetto alle peculiari funzioni attribuite all’organo di revisione, ed all’ulteriore circostanza evidenziata dalla giurisprudenza amministrativa (tra le tante: C.G.A.R.S. 22 dicembre 2015, n. 736) che, a tutela della sua indipendenza, tale organo è sostanzialmente inamovibile e l’incarico ad esso conferito è tendenzialmente irrevocabile.

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