Recupero dell’indebito al revisore per riduzione disposta dalla legge. La competenza è del giudice ordinario

7 Marzo 2023
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In presenza di una disposizione normativa che riduca il compenso del revisore dei conti, il recupero successivo disposto dall’ente per l’indebito corrisposto, esula da un provvedimento di tipo discrezionale, in quanto atto vincolato, con la conseguenza che la pretesa del revisore è rimessa al giudice ordinario. Sono queste le indicazioni del TAR per la Sicilia (sentenza n.672/2023) che ha dichiarato inammissibile il ricorso del revisore.

Il fatto

Un revisore nominato Presidente dal Consiglio comunale ha impugnato davanti al giudice amministrativo la delibera di un ente locale avente ad oggetto “compenso al Presidente del Collegio dei Revisori – recupero somme non dovute”, con la quale, in ragione dell’entrata in vigore del D.L. 78/2010 e a seguito delle misure introdotte per il contenimento della spesa pubblica, è stato rideterminato il proprio compenso professionale con recupero di quanto corrisposto. La citata deliberazione, infatti, nel richiamare l’art. 6, co. 3 del d.l. 78/2010 che ha previsto una riduzione dei compensi percepiti pari al 10%, è stato rideterminato nuovamente il compenso dovuto al presidente del collegio dei revisori dei conti, calcolando al contempo le somme indebitamente percepite dal revisore.

Il difetto di giurisdizione

Il Collegio amministrativo di primo grado ha ritenuto che, nel caso di specie, difettasse la competenza del giudice amministrativo trattandosi del reclamo di un diritto soggettivo rimesso alla sola competenza del giudice ordinario. Infatti, benché il revisore abbia chiesto l’annullamento della deliberazione comunale, evidenziando specifici motivi di illegittimità, la posizione giuridica dedotta in giudizio rientra in un diritto soggettivo concernente il diritto del ricorrente a conservare il compenso percepito come presidente del collegio dei revisori dei conti, che egli ritiene dovuto senza soluzione di continuità anche a seguito dell’entrata in vigore dell’articolo 6, comma 3 del d.l. n. 78/2010 conv. con l. 122/2010. In altri termini, «ai fini dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione, non occorre tener conto né della natura formale degli atti oggetto di impugnazione, né delle censure proposte in sede giurisdizionale, in quanto l’unico criterio rilevante è quello del petitum sostanziale, che va identificato soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscano manifestazione» (tra le tante: Cass. civ. sez. unite 28 maggio 2013, n. 13178; Cass. civ. sez. unite ord. 11 ottobre 2011 n. 20902). Ciò corrisponde a quanto sollevato dal ricorrente la cui pretesa azionata in giudizio, e per la quale è invocata tutela, trova titolo direttamente nella richiamata disciplina normativa di rango primario e non in ulteriori atti rimessi alla discrezionalità dell’Amministrazione, a fronte dei quali sia configurabile una posizione di interesse legittimo in capo al ricorrente. In altri termini, la relativa azione della P.A. non può ritenersi di tipo discrezionale, bensì vincolata in quanto volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per la soddisfazione del diritto di credito vantato dal ricorrente.

Il ricorso, pertanto è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, appartenendo la controversia alla cognizione del giudice ordinario, dinnanzi al quale la causa potrà essere riassunta.

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