Le motivazioni
Secondo la Consulta le seguenti questioni sono da considerarsi infondate:
Sulla giusta retribuzione (art.36 della Costituzione). Il dubbio di legittimità costituzionale, sollevato dai giudici rimettenti, muove dalla premessa secondo la quale l’eliminazione dei diritti di rogito per i segretari con qualifica dirigenziale e operanti presso enti la cui dotazione organica includa dirigenti si tradurrebbe nella neutralizzazione di un autonomo e ragionevole compenso per un’attività, quale quella di rogito, «specifica e ultronea rispetto a quella ordinariamente prestata dai segretari». Per la Consulta non sussiste alcuna disparità di trattamento, in quanto come in altre occasioni è stato stabilito che lo scrutinio sulla conformità di una disciplina all’art. 36 Cost. non può essere svolto atomisticamente, in relazione alle singole componenti retributive parcellizzate, dovendo, per contro, investire globalmente l’insieme delle voci che formano il trattamento complessivo del lavoratore.
La Consulta, nel caso di specie, evidenzia, ai fini del principio di onnicomprensività della retribuzione dirigenziale, che i diritti di rogito rientrano a pieno titolo nelle competenze istituzionali dei segretari, ossia obbligatoriamente compresi nelle prestazioni di servizio loro assegnate. Per i giudici amministrativi, infatti, affinché un’attività possa ritenersi estranea ai compiti istituzionali, e quindi sottratta al principio di onnicomprensività retributiva, è necessario uno specifico fatto genetico della sua attribuzione, come un provvedimento di nomina, comportante l’adesione volontaria dell’interessato. Inoltre, il rapporto di strumentalità che corre tra il principio di onnicomprensività (art. 24 del d.lgs. n. 165 del 2001) e il preminente interesse alla corretta e oculata allocazione delle risorse pubbliche e all’equilibrio di bilancio non inibisce al legislatore di introdurre disposizioni derogatorie, spettando alla sua discrezionalità stabilire discipline differenziate per regolare situazioni che ritenga, ragionevolmente e non arbitrariamente, connotate da elementi di distinzione. Pertanto, la disposizione legislativa non mina l’adeguatezza e la proporzionalità della retribuzione dei segretari comunali e provinciali e, quindi, non entra in conflitto con l’art. 36 Cost. ;
Sulla disparità di trattamento (art.3 Costituzione). Nel caso di specie, le due situazioni poste a confronto – quella dei segretari che subiscono l’abrogazione dei diritti di rogito e quella di coloro che, essendo soggetti al regime differenziato, continuano a godere del beneficio – non rispondono alla medesima ragione giustificatrice. La previsione derogatoria è stata inserita in sede di conversione al fine di attenuare l’impatto economico che la totale soppressione dei diritti di rogito, disposta dal testo originario del d.l. n. 90 del 2014, avrebbe prodotto sui segretari fruenti del trattamento economico più basso (segretari di fascia «C») o comunque non ammessi all’allineamento economico alla posizione dirigenziale (“galleggiamento”) previsto dall’art. 41, comma 5, del CCNL maggio 2001 (segretari di fasce «A» e «B» che prestano servizio in enti privi di dirigenti). Per la Consulta, pertanto, deve escludersi che la posta economica sottratta ai segretari con qualifica dirigenziale operanti in comuni e province muniti di dirigenti sia funzionalmente omogenea, e quindi comparabile, a quella attribuita ai segretari che, invece, prestano servizio in enti che ne sono privi, o sono sprovvisti di qualifica dirigenziale;
Principio di buon andamento (art.97 Costituzione). La norma, a dire della Consulta, non può produrre un effetto disincentivante per i segretari investiti dalla soppressione dei diritti di rogito, in quanto l’esercizio della funzione rogante è connesso ai compiti istituzionali. In ogni caso, il principio del buon andamento della pubblica amministrazione non può essere associato all’entità della retribuzione, la quale non è legata da un vincolo funzionale all’efficiente organizzazione amministrativa. È stato, a tal fine affermato, che, anche nel caso in cui un effetto dissuasivo si produca, «esso non è automaticamente di pregiudizio al buon andamento della pubblica amministrazione, posto che l’efficienza della macchina amministrativa non è di per sé scalfita dal fatto che determinate funzioni siano esercitate da personale che non gode del livello retributivo massimo consentito ma dispone comunque di adeguata competenza e professionalità» (sentenza n. 27 del 2022).
In conclusione la sentenza n.200/2023 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale.
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