di Daniela Ghiandoni e Elena Masini
Il nuovo intervento per affrontare il problema dei ritardi di pagamento della Pa passa dalla richiesta da parte degli enti locali, entro il 28 febbraio, di un eventuale supplemento di liquidità alla Cassa depositi e prestiti ma anche a banche e intermediari finanziari (articolo 1, commi da 849 a 856, della legge 145/2019). La Cassa depositi e prestiti ha emanato la circolare n. 1292, rendendo note le condizioni generali per l’accesso alle anticipazioni richiamando gli articoli 10 e 14 del Dm 6 ottobre2004 (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 14 gennaio). Richieste e sanzioni La richiesta agli istituti finanziari deve essere presentata entro il 28 febbraio, corredata da una dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale dell’ente, che riporti l’elenco dei debiti da pagare con l’anticipazione. Per la
rispettando la condizione di cui alla lettera a), si riscontra un indicatore di ritardo annuale dei pagamenti, calcolato sulle fatture scadute nell’anno precedente, non rispettoso dei termini stabiliti d all’articolo 4 del Dlgs 231/2002. Prime criticità Come evidenziato in una recente riunione dell’Ardel, però, sono già diverse le problematiche riscontrate in sede di prima interpretazione della norma. Innanzitutto, l’anticipazione di liquidità dovrebbe ritenersi aggiuntiva rispetto all’anticipazione di tesoreria disciplinata dall’articolo 222 del Tuel (che assorbe in sè anche il valore degli eventuali fondi vincolati di cui parla l’articolo 195). L’obbligo di rilasciare la delegazione di pagamento per garantire il rimborso della nuova anticipazione, però, farà sì che il tesoriere accantoni prudenzialmente somme di pari importo a titolo di anticipazione di tesoreria, riducendo quindi di fatto questa capacità aggiuntiva. In secondo luogo, la sanzione prevista dal comma 849 potrebbe
essere applicabile non solo agli enti poco rispettosi delle norme, ma anche a quelli virtuosi, perché il miglioramento della performance di pagamento non sempre è possibile e inoltre il confronto tra le masse di debiti commerciali presenti al termine dell’esercizio 2018 e 2019 non sono paragonabili tra loro per vari motivi (ad esempio, per incremento di spese di investimento). Il dubbio cade sul fatto che gli enti pubblici per poter accelerare i propri tempi di pagamento o comunque per migliorare la loro liquidità potrebbero contrarre il pagamento dei debiti non commerciali quali, ad esempio, i contributi su opere pubbliche, trasferendo la loro crisi di liquidità sugli enti minori. Inoltre, la restituzione della liquidità deve avvenire in una data, il 15 dicembre, in cui gli enti locali non hanno ancora riscosso importanti entrate, quali l’Imu. In ogni caso l’obbligo di restituzione dell’anticipazione in un’unica tranche a così breve distanza non consente agli enti di trarre un
duraturo sollievo alle tensioni di cassa che sono spesso alla base dei ritardi nei pagamenti. Infine, la metodologia di calcolo su cui sarà basato il confronto non è identica a quella utilizzata per la pubblicazione dei dati sul sito di ogni ente. La norma ha improvvisamente acceso, quindi, i riflettori sul rispetto dei tempi di pagamento che richiederà capacità organizzative all’interno degli enti e conoscenze specialistiche sulle cause del problema e sulle possibili soluzioni. Per cercare di affrontare il problema, gli enti dovranno far riemergere la vecchia disposizione che prevedeva l’adozione da parte dell’organo esecutivo di misure organizzative dirette a velocizzare i pagamenti, già previste dall’articolo 9 del Dl 78/2009 convertito dalla legge 102/2009, con le quali dettare efficaci disposizioni interne.
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