No al danno erariale se il salario accessorio illegittimo è recuperato sui fondi decentrati successivi

La Giunta e i revisori dei conti hanno l’obbligo di verificare che il salario accessorio attribuito ai dipendenti sia conforme alla normativa contrattuale. In caso di distribuzione illegittima di poste del salario accessorio possono essere chiamati a rispondere della mancata vigilanza e, quindi, di parte del relativo danno erariale, a meno che l’ente abbia attivato le procedure di recupero delle somme accessorie erogate in violazione delle regole contrattuali, diminuendo di pari ammontare le risorse del fondo degli anni successivi.

19 Aprile 2021
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La Giunta e i revisori dei conti hanno l’obbligo di verificare che il salario accessorio attribuito ai dipendenti sia conforme alla normativa contrattuale. In caso di distribuzione illegittima di poste del salario accessorio possono essere chiamati a rispondere della mancata vigilanza e, quindi, di parte del relativo danno erariale, a meno che l’ente abbia attivato le procedure di recupero delle somme accessorie erogate in violazione delle regole contrattuali, diminuendo di pari ammontare le risorse del fondo degli anni successivi. Sono queste le indicazioni della Corte di appello siciliana (sentenza n.56/2021) che ha riformato la sentenza di primo grado che aveva disposto la condanna erariale ritenendo non sufficiente il recupero sui fondi integrativi successivi.

La condanna in primo grado

I revisori, il Sindaco e la Giunta comunale sono stati chiamati a rispondere, del danno erariale per erogazione illegittima dell’indennità di video terminale attribuita nel tempo ai dipendenti di un ente locale. I giudici contabili di primo grado hanno respinto le motivazioni a difesa della mancata attualità del danno basato sul recupero disposto in autotutela dal comune, a valere sui fondi integrativi successivi, in coerenza con la normativa introdotta dal d.l. 16/2014 (cosiddetto decreto salva Roma), per due ordini di motivi. Il primo, in quanto il recupero non sarebbe avvenuto sui soggetti che avrebbero beneficiato del salario accessorio illegittimo. Il secondo motivo, poiché la riduzione futura del salario accessorio, a valere sui fondi integrativi, realizzerebbe un risparmio di spesa e non un recupero di somme corrisposte. Gli amministratori e i revisori dei conti hanno proposto appello alla sentenza di condanna considerandola non conforme alle indicazioni poste dal legislatore.

La riforma della sentenza

I giudici contabili di appello hanno giudicato la sentenza di promo grado di condanna ingiustificata, giacché nessuna norma autorizza a ritenere che il ripiano del danno tramite risparmio di spesa, ovvero tramite recupero a carico di soggetti diversi dai presunti percettori delle illegittime erogazioni, presentino una minore o diversa efficacia nella eliminazione del pregiudizio erariale. Riguardo alla natura oggettiva del recupero, a valere sui fondi successivi disposti dalla normativa, la motivazione non convince. Infatti, le somme recuperate, ai sensi dell’art. 4 d.l. 16/2014, vengono prelevate dal Fondo risorse integrative con conseguenti risparmi di spesa derivanti dalla mancata erogazione di determinate somme ai dipendenti, e dunque di pertinenza di questi ultimi. In altri termini, l’ente locale con il citato meccanismo finisce pur sempre per incamerare risorse di competenza dei dipendenti. Anche da un punto di vista soggettivo, le conclusioni contenute nella sentenza di primo grado non appaiono fondate, non potendo ritenere che l’unica possibile alternativa di effettivo recupero, utile a scongiurare la condanna erariale, avrebbe dovuto essere quella del recupero nei confronti dei solo dipendenti beneficiari. Tali conclusioni si pongono, infatti, in conflitto con la scelta precisa del legislatore che ha escluso, con il citato decreto salva Roma, la possibilità di procedere alla ripetizione dell’indebito direttamente sui dipendenti, prevedendo un preciso strumento alternativo. Si tratterebbe di una responsabilità collettiva dei dipendenti in luogo di quella dei singoli mediante il prelievo dal Fondo collettivamente riferibile agli stessi lavoratori e dagli stessi alimentato. È lo stesso legislatore che ha previsto tale possibilità di ristoro della PA che è sottoposta ad alcuni paletti e condizioni, tra questi la condizione che, al momento in cui è iniziato il recupero, non fosse intervenuta pronunzia di condanna contabile. D’altra parte, se fosse possibile confermare la sentenza di condanna degli amministratori, nonostante il già disposto recupero citato sul Fondo, allora la PA danneggiata, oltre a beneficiare del ristoro intervenuto per scelta del Legislatore ex d.l. 16/14, finirebbe anche per incamerare importi di altrui competenza.

La Giunta e i revisori dei conti hanno l’obbligo di verificare che il salario accessorio attribuito ai dipendenti sia conforme alla normativa contrattuale. In caso di distribuzione illegittima di poste del salario accessorio possono essere chiamati a rispondere della mancata vigilanza e, quindi, di parte del relativo danno erariale, a meno che l’ente abbia attivato le procedure di recupero delle somme accessorie erogate in violazione delle regole contrattuali, diminuendo di pari ammontare le risorse del fondo degli anni successivi. Sono queste le indicazioni della Corte di appello siciliana (sentenza n.56/2021) che ha riformato la sentenza di primo grado che aveva disposto la condanna erariale ritenendo non sufficiente il recupero sui fondi integrativi successivi.

La condanna in primo grado

I revisori, il Sindaco e la Giunta comunale sono stati chiamati a rispondere, del danno erariale per erogazione illegittima dell’indennità di video terminale attribuita nel tempo ai dipendenti di un ente locale. I giudici contabili di primo grado hanno respinto le motivazioni a difesa della mancata attualità del danno basato sul recupero disposto in autotutela dal comune, a valere sui fondi integrativi successivi, in coerenza con la normativa introdotta dal d.l. 16/2014 (cosiddetto decreto salva Roma), per due ordini di motivi. Il primo, in quanto il recupero non sarebbe avvenuto sui soggetti che avrebbero beneficiato del salario accessorio illegittimo. Il secondo motivo, poiché la riduzione futura del salario accessorio, a valere sui fondi integrativi, realizzerebbe un risparmio di spesa e non un recupero di somme corrisposte. Gli amministratori e i revisori dei conti hanno proposto appello alla sentenza di condanna considerandola non conforme alle indicazioni poste dal legislatore.

La riforma della sentenza

I giudici contabili di appello hanno giudicato la sentenza di promo grado di condanna ingiustificata, giacché nessuna norma autorizza a ritenere che il ripiano del danno tramite risparmio di spesa, ovvero tramite recupero a carico di soggetti diversi dai presunti percettori delle illegittime erogazioni, presentino una minore o diversa efficacia nella eliminazione del pregiudizio erariale. Riguardo alla natura oggettiva del recupero, a valere sui fondi successivi disposti dalla normativa, la motivazione non convince. Infatti, le somme recuperate, ai sensi dell’art. 4 d.l. 16/2014, vengono prelevate dal Fondo risorse integrative con conseguenti risparmi di spesa derivanti dalla mancata erogazione di determinate somme ai dipendenti, e dunque di pertinenza di questi ultimi. In altri termini, l’ente locale con il citato meccanismo finisce pur sempre per incamerare risorse di competenza dei dipendenti. Anche da un punto di vista soggettivo, le conclusioni contenute nella sentenza di primo grado non appaiono fondate, non potendo ritenere che l’unica possibile alternativa di effettivo recupero, utile a scongiurare la condanna erariale, avrebbe dovuto essere quella del recupero nei confronti dei solo dipendenti beneficiari. Tali conclusioni si pongono, infatti, in conflitto con la scelta precisa del legislatore che ha escluso, con il citato decreto salva Roma, la possibilità di procedere alla ripetizione dell’indebito direttamente sui dipendenti, prevedendo un preciso strumento alternativo. Si tratterebbe di una responsabilità collettiva dei dipendenti in luogo di quella dei singoli mediante il prelievo dal Fondo collettivamente riferibile agli stessi lavoratori e dagli stessi alimentato. È lo stesso legislatore che ha previsto tale possibilità di ristoro della PA che è sottoposta ad alcuni paletti e condizioni, tra questi la condizione che, al momento in cui è iniziato il recupero, non fosse intervenuta pronunzia di condanna contabile. D’altra parte, se fosse possibile confermare la sentenza di condanna degli amministratori, nonostante il già disposto recupero citato sul Fondo, allora la PA danneggiata, oltre a beneficiare del ristoro intervenuto per scelta del Legislatore ex d.l. 16/14, finirebbe anche per incamerare importi di altrui competenza.

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