L’obbligo di dismissione delle partecipazioni societarie deve ritenersi esteso anche alla gestione della farmacia comunale?

di Salvio Biancardi

Deliberazione Corte dei conti, sez. controllo Marche, 7.8.2013, n. 57

L’obbligo di dismissione delle partecipazioni societarie deve ritenersi esteso anche alla gestione della farmacia comunale?
Occorre precisare che la gestione di una farmacia comunale da parte di un comune si contraddistingue quale servizio pubblico locale a rilevanza economica, strettamente connesso con il diritto alla salute dei cittadini, restando marginale la natura commerciale dell’attività del farmacista. Tale assunto porta a ritenere che la partecipazione societaria da parte di un comune alla gestione di una farmacia non ricada nell’obbligo di dismissione sancito dalla legge 244/2007.
Così ha stabilito la Corte dei conti, sez. regionale di controllo per le Marche, nella deliberazione n. 57 del 7 agosto 2013.
Per una migliore comprensione della questione in esame è necessaria una breve ricostruzione normativa in ordine ai vincoli imposti dal legislatore in materia di partecipazione societaria.
Come stabilito dall’art. 3, comma 27, della legge 24.12.2007, n. 244 le amministrazioni pubbliche non possono costituire società aventi per oggetto la finalità di produzione di beni e servizi non strettamente necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni , anche di minoranza, in tali società.
Risulta invece sempre consentita la costituzione di società finalizzate alla produzione di servizi di interesse generale, nonché l’assunzione di partecipazioni in dette società.
Nella ricostruzione del quadro normativo assume rilevanza anche l’art. 14, comma 32, del d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010, il quale dispone che, fermo quanto previsto dall’art. 3, commi 27, 28 e 29, della legge 24.12.2007, n. 244, i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti non possono costituire società. Entro il 31 dicembre 2012 (il termine è stato poi prorogato di 9 mesi) detti comuni dovevano mettere in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del citato decreto, ovvero ne dovevano cedere le partecipazioni. Tuttavia dette disposizioni non trovano applicazione per i comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti nel caso di società già costituite, le quali:

  1. avessero, al 31 dicembre 2012, il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi;
  2. non avessero subìto, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio;
  3. non avessero subìto, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune fosse stato gravato dell’obbligo di procedere al ripiano delle perdite medesime.

Tuttavia, come si diceva in premessa, ad avviso della Corte la gestione di una farmacia comunale costituisce modalità di assunzione di un servizio locale, tendenzialmente di rilevanza economica, che per espressa scelta legislativa (art. 23-bis, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 25.6.2008) è stata sottratta all’applicazione della disciplina di liberalizzazione in materia di servizi pubblici locali pur tuttavia la scelta di esclusione operata dal legislatore non elide la natura di servizio pubblico locale in termini di qualificazione giuridica del servizio di gestione della farmacia comunale, che si contraddistingue per i suoi elementi di specialità normativa, considerata la stretta connessione con il diritto alla salute dei cittadini.
Nei termini sopra esposti, pertanto, la Corte ha ritenuto che l’esercizio dell’attività di gestione di una farmacia da parte del comune non ricada nell’obbligo di dismissione delle partecipazioni societarie previsto dall’art. 14, comma 32, del d.l. 78/2010.

 

Fonte: La Gazzetta degli Enti locali

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