Il fatto
Il Consiglio comunale ha approvato la partecipazione dell’ente locale ad un consorzio, con successivo invio alla Corte dei conti, ai fini del parere richiesto dall’art. 5, commi 3 e 4 del d. lgs. 19 agosto 2016 n. 175, come modificato dall’art. 11 della legge 5 agosto 2022, n. 118.
La distinzione tra consorzio e società consortile
Al fine del rilascio del parere, i giudici contabili si soffermano sulla distinzione tra società consortile e contratto di consorzio, essendo solo il primo oggetto del parere richiesto dalla normativa.
Il contratto consortile di cui all’art. 2602 c.c. è un contratto associativo con il quale i consorziati «istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese». E’ un contratto tendenzialmente aperto all’adesione di altri consorziati (salvo diverse clausole statutarie) e può sciogliersi anche limitatamente al singolo consorziato che recede o viene escluso. Nei “consorzi a rilevanza interna”, l’organizzazione consortile è limitata alla gestione di alcune attività proprie dei consorziati e per le finalità tipiche di detto contratto associativo. Mentre nei “consorzi a rilevanza esterna”, l’ente di diritto privato costituito con l’adesione al contratto di consorzio può svolgere, mediante i suoi organi, attività rilevanti nei confronti dei terzi; tant’è che soggiace a precise regole di pubblicità che consente ai consorziati, per le obbligazioni che sono state assunte in nome del consorzio dai soggetti che ne hanno la rappresentanza, di godere di una responsabilità limitata al fondo consortile (art. 2615 c.c.).
Le società consortili, invece, sono vere e proprie società commerciali che hanno come scopo sociale quello tipico del contratto di consorzio sopra richiamato (art. 2602 c.c.). La peculiarità delle società consortili, in realtà, oltre che nello “scopo”, risiede nel fatto che in ragione del secondo comma dell’art. 2615 ter c.c. il contratto costitutivo di società può contemplare, secondo i giudici di legittimità:
«una forma ulteriore di finanziamento, la cui previsione nell’atto costitutivo non rappresenta affatto un obbligo, ma una semplice facoltà, il cui esercizio non impedisce comunque alla società di fare ricorso ad altre forme di finanziamento. L’obbligo di versamento dei contributi, nel caso in cui sia previsto dall’atto costitutivo, costituisce infatti espressione dello scopo mutualistico proprio della società, l’adesione alla quale mira ad assicurare ai partecipanti un vantaggio economico, che può consistere tanto nella riduzione dei costi sopportati quanto in un aumento dei ricavi conseguiti nella gestione delle rispettive imprese, attraverso la fruizione dei servizi resi dalla società senza l’intermediazione di terzi. La realizzazione di tale scopo ha luogo mediante la creazione di un’organizzazione sociale, le cui spese di gestione possono essere coperte sia mediante l’imposizione a carico dei soci del pagamento di un corrispettivo per la prestazione dei predetti servizi, sia attraverso la previsione del versamento di somme di denaro ulteriori rispetto ai conferimenti iniziali. Tali diverse forme di copertura costituiscono manifestazione della duplicità di rapporti che lega i soggetti consorziati alla società, inquadrandosi il pagamento del corrispettivo nel rapporto di scambio inerente alla fruizione del servizio da parte del singolo socio, ed il versamento del contributo nel rapporto associativo sotteso all’esercizio in comune dell’attività economica, quale prestazione accessoria rispetto al conferimento, prevista dallo art. 2615-ter cod. civ. in deroga alla regola generale secondo cui il socio è obbligato ad eseguire esclusivamente i conferimenti determinati dal contratto sociale. I contributi si differenziano peraltro sia dai conferimenti che da altre erogazioni effettuate dai soci a titolo di prestito in favore della società, in quanto hanno contenuto variabile e scadenza periodica, non entrano a far parte del capitale sociale e, come detto in precedenza, non danno luogo né a remunerazione né a restituzione in favore dei soci, configurandosi pertanto come finanziamenti a fondo perduto. Anche per tali versamenti, tuttavia, così come per quelli effettuati a titolo di prestito o in conto capitale, trova applicazione il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la qualificazione nell’uno o nell’altro senso dipende in definitiva dalla interpretazione della volontà delle parti, dovendosi trarre la relativa prova, posta a carico del socio che agisca in restituzione, dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche avute di mira e dagli interessi che vi sono sottesi» (Cass. ord. n. 3628 del 12 febbraio 2021).
Pertanto, le società consortili, diversamente dai consorzi avente rilevanza esterna, soggiacciono alle regole civilistiche del modello societario prescelto, sia con riferimento agli organi sociali, sia con riferimento alla responsabilità nei confronti di soggetti terzi con conseguente assoggettabilità alle procedure concorsuali in caso di insolvenza.
La richiesta di parere
Sulla base delle sopra indicate precisazioni, il Collegio contabile si sofferma sulla natura del consorzio, al fine di poter esprimere il proprio parere. Dall’esame dello statuto non si evince la natura di “società consortile” ai sensi dell’art. 2615 ter del codice civile. Pertanto, anche se nell’intestazione dello statuto, accanto alla denominazione del consorzio, viene indicato l’acronimo s.c. a r.l., l’esame delle singole norme statutarie (in particolare, la disciplina della responsabilità civile del consorzio verso soggetto terzi e la dotazione di un “fondo consortile” anziché di un capitale sociale) consente a questa Sezione di escludere la natura societaria del consorzio in questione. In questo caso, pertanto, non trova applicazione la disciplina prevista dal TUSP rivolta in via esclusiva ai consorzi costituiti in forma societaria «ai sensi dell’articolo 2615-ter del codice civile».
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