Il caso particolare riguarda l’avvenuto riconoscimento del debito fuori bilancio da parte del Consiglio comunale di una spesa sostenta in assenza del contratto, cui l’impresa ne reclamava il pagamento non avvenuto nonostante il citato riconoscimento. Sia il giudice ordinario che successivamente il Consiglio di Stato (sentenza 07/01/2019 n.130) hanno negato alla società gli importi reclamati, in quanto la mancanza della forma scritta nei rapporti con la pubblica amministrazione richiesta a pena di nullità, non poteva essere sanata dal Consiglio comunale mediante il riconoscimento di debiti fuori bilancio ex art. 194 del d. lgs. n. 267/2000.
La vicenda
In seguito ad accordi con il Comune, l’impresa continuava ad alloggiare presso la propria struttura alberghiera gli sfollati per calamità naturali, alle medesime condizioni stabilite da un precedente contratto con l’ente locale. Nel reclamare i pagamenti non avvenuti, il Consiglio comunale procedeva con una serie di deliberazioni di Consiglio comunale al riconoscimento dei debiti fuori bilancio, ai sensi dell’art.194 lett. e) del Tuel. Tuttavia, nonostante gli avvenuti riconoscimenti dei debiti, il Comune non procedeva alla liquidazione degli importi reclamati, con la conseguenza che la società proponeva procedimento sommario di cognizione presso il Tribunale ordinario. Il giudice civile, con propria sentenza, respingeva la domanda giudiziale per insussistenza di un contratto avente forma scritta tra le parti, aggiungendo che la conseguente nullità non poteva essere sanata dal riconoscimento di debiti fuori bilancio ex art. 194 del d. lgs. n. 267/2000.
Il Comune, a fronte di tale sentenza, procedeva con successiva deliberazione consiliare, previa comunicazione di avvio del procedimento, ad annullare in autotutela le precedenti deliberazioni di Consiglio, in presenza del vizio di legittimità delle richiamate delibere con le quali, in sostanza, si era provveduto ad operare una sanatoria, rispetto alla mancata forma scritta prevista ad substantiam, del presunto rapporto contrattuale tra l’ente locale e la società non consentito in presenza di una contratto nullo.
La società impugnava innanzi al TAR la deliberazione di annullamento del riconoscimento del debito fuori bilancio, anche a fronte del lasso considerevole di tempo trascorso per le operazioni di autotutela intraprese, ossia abbondantemente oltre il termine massimo previsto dalla legge n.241/90.
Il Tribunale amministrativo di primo grado respingeva le doglianze della società circa il tempo trascorso, in quanto si era in presenza dell’esecuzione di una decisione del giudice ordinario ormai passata in giudicato, con la conseguenza della doverosità del provvedimento di autotutela che in questo caso non incontra alcun limite temporale. Secondo il TAR, la procedura di cui all’art. 194 del T.U.E.L. non poteva essere utilizzata per sanare la nullità di impegni contrattuali per carenza della forma scritta.
Ricorre, infine, la società avverso la decisione del TAR in Consiglio di Stato.
La conferma del Consiglio di Stato
Secondo i giudici di Palazzo Spada il Tribunale ha respinto le richieste della società perché prive di un contratto stipulato in forma scritta, prescrizione questa obbligatoria nei rapporti con la PA. Tale è il consolidato orientamento della Cassazione che ha affermato il principio secondo cui i contratti degli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, quale garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, e ciò anche ai fini della verifica della necessaria copertura finanziaria e dell’assoggettamento al controllo dell’autorità tutoria (cfr. Cass., Sez. 1, 13 ottobre 2016 n. 20690; id., 19 settembre 2013, n. 21477; id., 24 gennaio 2007, n. 1606; Cass., id., 26 ottobre 2007, n. 22537). Da ciò discende l’esclusione della possibilità di desumere l’intervenuta stipulazione del contratto da una manifestazione di volontà implicita o da comportamenti meramente attuativi. Pertanto, ove tale forma non sussista, a nulla rileva l’eventuale corretta iscrizione preventiva nel bilancio dell’ente pubblico (Cass., III, ord. 21 giugno 2018 n. 16307).
Avuto riguardo all’annullamento d’ufficio, è assolutamente condivisibile quanto affermato dal giudice di primo grado, secondo il quale il Comune ha giustificatamente proceduto senza osservare i canoni consueti in materia stabiliti dall’art. 21 nonies della l. 241 del 1990, poiché l’annullamento d’ufficio di atti che abbiano comportato la spendita illegittima di pubblico denaro, nel caso mediante forme del tutto al di fuori dell’ordinamento, non richiede per costante giurisprudenza amministrativa quella specifica valutazione motivata dell’interesse pubblico e la perentorietà dei termini richiamata dall’art. 21 nonies citato.
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