Il dubbio della Cassazione sul pagamento delle spese legali ai dipendenti assolti nei giudizi contabili

25 Gennaio 2024
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A seguito dell’intervento del Giudice delle leggi sul rapporto diretto tra dipendente e amministrazione, in caso di assoluzione nei giudizi contabili, si era aperta la possibilità che, la quantificazione del rimborso delle spese sostenute dal dipendente, potesse essere anche maggiore rispetto a quanto disposto nella sentenza di assoluzione. La Cassazione (Ordinanza n.1321/2024) riapre la questione, rinviando la decisione finale alle Sezioni Unite, in presenza di un orientamento difforme tra le Sezioni Semplici.

Il fatto

Un dipendente pubblico assolto nel giudizio contabile con quantificazione del rimborso disposto in sentenza, ha chiesto alla propria Amministrazione un importo maggiore in coerenza con quanto corrisposto nel giudizio contabile al proprio avvocato per la difesa in giudizio. A differenza del Tribunale di primo grado che ha disposto l’accoglimento del ricorso del dipendente, ritenendo congrue le maggiori spese da lui sostenute per la difesa in giudizio, la Corte di appello ha, invece, rigettato il ricorso ritenendo che le spese da rimborsare al dipendente trovassero la loro corretta quantificazione nella sentenza del giudice contabile, nella quale le spese legali erano state rimborsate in quanto la condotta del dipendente era stata ritenuta “non immune da censure”. Il dipendente ha, quindi, proposto appello in Cassazione sostenendo l’errore contenuto nella sentenza di rigetto che avesse fatto riferimento alla sentenza della IV Sezione della Corte di cassazione n. 19195 del 19 agosto 2013 che, a seguito dell’intervento della Consulta, era stata rivista dal giudice di legittimità che, con successiva sentenza n. 18046 del 6 giugno 2022 emessa dalla II Sezione civile aveva espresso il seguente principio di diritto ‹‹La domanda di rimborso delle spese legali sostenute dai soggetti sottoposti a giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti e risultati prosciolti nel merito, non è riservata alla giurisdizione contabile e non si esaurisce con la liquidazione delle spese adottata dalla Corte dei conti, avendo la parte diritto all’intero esborso sostenuto››.

Contrasto tra sentenza

Secondo i giudici di Piazza Cavour nel caso di specie vi sono due diversi indirizzi del giudice di legittimità, ognuno dei quali supportato da valide motivazioni.
Il primo indirizzo, più risalente nel tempo, è quello della Corte di cassazione n. 19195 del 19 agosto 2013, secondo la quale spetta al giudice contabile il governo delle spese, in quanto finalizzato ad un maggior controllo della spesa pubblica, onde evitare abusi causati da rimborsi eccessivi concessi dalle amministrazioni interessate ed il proliferare di giudizi civili ove detti rimborsi siano negati, che porterebbero ad un contrasto fra giudicato contabile e civile sul regime delle spese. Militano in favore di questa tesi anche l’interpretazione autentica di cui all’art. 10 bis, comma 10, del d.l. n. 203 del 2005 che prevede una condanna alle spese della P.A. di appartenenza e non una semplice liquidazione insuscettibile di formare titolo esecutivo.
Pertanto, il giudice competente per il merito della causa è funzionalmente competente a decidere sull’an e sul quantum delle relative spese.

Il secondo indirizzo, più recente nel tempo, è quello della Cassazione n. 18046 del 6 giugno 2022 secondo cui ‹‹La domanda di rimborso delle spese legali sostenute dai soggetti sottoposti a giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti e risultati prosciolti nel merito, non è riservata alla giurisdizione contabile e non si esaurisce con la liquidazione delle spese adottata dalla Corte dei conti, avendo la parte diritto all’intero esborso sostenuto; ne consegue che al sindaco, sottoposto al giudizio contabile e definitivamente prosciolto, spetta il rimborso, da parte dell’amministrazione di appartenenza, delle somme versate al difensore in eccedenza rispetto a quanto liquidato nel giudizio contabile, ai sensi dell’art. 3, comma 2 bis del d.l. n. 543 del 1996, come convertito nella l. n. 639 del 1996, il quale opera a vantaggio di tutti i soggetti sottoposti a controllo contabile, inclusi gli amministratori e i sindaci degli enti locali››. La sentenza, pertanto, valorizza il principio, per il quale la domanda di rimborso delle spese che eccedono quelle liquidate dalla Corte dei conti è devoluta al giudice ordinario. In altri termini, il rapporto sostanziale che si instaura tra l’incolpato e l’amministrazione di appartenenza è distinto da quello che ha per oggetto le spese regolate nel giudizio di responsabilità contabile, poiché il primo corre tra soggetti diversi da quelli del giudizio contabile (da una parte, gli incolpati; dall’altra la loro amministrazione di appartenenza) e siccome la decisione resa su di esso non investe il giudizio di responsabilità attribuito alla giurisdizione della Corte dei conti. A supporto di tale orientamento vi sarebbero le indicazioni delle Sezioni Unite e della Corte costituzionale contenuta nella sentenza n. 189 del 31 luglio 2020.

In questo caso l’importo sarebbe liquidato con atto dalla stessa amministrazione, sentita l’Avvocatura dello Stato, che ne valuterebbe la congruità, fermo restando che il dipendente che ritenesse di non essere soddisfatto della liquidazione avrebbe la possibilità del ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria. Pertanto, la domanda di rimborso non sarebbe riservata alla giurisdizione contabile e non si esaurirebbe con la liquidazione delle spese adottata dalla Corte dei conti, avendo la parte diritto all’intero esborso sostenuto, con azione esperibile – per l’eccedenza – dinanzi al giudice ordinario. D’altra parte, tale indirizzo è stato espresso anche dal giudice amministrativo secondo cui “Diversamente opinando, si ammetterebbe, infatti, che il diritto al rimborso delle spese sopportate che, come già detto, trova la sua origine nell’autonomo rapporto di natura sostanziale intercorrente tra Amministrazione e dipendente, possa essere irrimediabilmente e, eventualmente, anche ingiustificatamente condizionato e compromesso dalle statuizioni del giudice contabile, come per esempio attraverso la liquidazione di un importo meramente simbolico e comunque inferiore rispetto all’effettivo esborso congruamente determinato (…) o addirittura l’eventuale compensazione delle spese (…), il che sarebbe senz’altro incompatibile con il principio della necessaria effettività del rimborso sopra affermato, considerato altresì il dovere dell’assistito al pagamento delle spese legali in favore del proprio difensore in base alla tariffa forense” (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza n.3779/2017).

I dubbi

Ora se da un lato la più recente sentenza del giudice di legittimità ha il pregio di tenere conto della sentenza della Corte costituzionale n. 189 del 31 luglio 2020, dall’altro lato le indicazioni del Giudice delle leggi era assistito da una fonte legislativa Provincia autonoma di Trento n. 3 del 1999. Inoltre, tale sentenza non ha tenuto conto del nuovo codice di giustizia contabile (art. 31, comma 2, d.lgs. n. 174 del 2016) che, in correlazione con l’art. 10 bis, comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, non contiene riferimenti al parere dell’Avvocatura dello Stato, circostanza che ha portato a domandarsi se detto parere sia ancora previsto per la procedura di rimborso e se la sua eventuale soppressione non rafforzi la ricostruzione per la quale l’importo delle spese del giudizio contabile liquidato definitivamente dalla Corte dei conti sarebbe non più contestabile. Infatti, una possibile contestazione potrebbe avvenire qualora la liquidazione della Corte dei conti non rispettasse i minimi tabellari o se il giudice contabile compensasse le spese di lite nel caso di proscioglimento nel merito nonostante l’espresso divieto di legge (il che, nella specie, è avvenuto), ma potrebbero suscitare meno interesse nelle altre eventualità.

La precedente sentenza n. 19195 del 19 agosto 2013 della Cassazione, non esclude sempre a priori che possano essere domandate somme di denaro alla P.A. di appartenenza in conseguenza del proscioglimento avvenuto nel merito del giudizio contabile, quantomeno ove la Corte dei conti ometta ogni pronuncia oppure qualora la traslazione dell’onere sia prevista dalla contrattazione collettiva, il che giustifica il riconoscimento di due rapporti, uno processuale davanti al giudice contabile e uno fra dipendente e P.A.. Inoltre, essa potrebbe essere letta alla luce delle più recenti pronunce della Corte costituzionale, che potrebbero consentire di dare più peso alle spese sostenute dopo il giudizio contabile o quando questo non arriva al merito.

La questione di massima

In ragione del contrasto tra le Sezioni Semplici, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite che dovrà risolvere i seguenti quesiti “se il dipendente pubblico, che sia stato prosciolto all’esito di un giudizio contabile, abbia diritto, ai sensi degli artt. 3, comma 2 bis, del d.l. n. 543 del 1996 conv., con modif., dalla legge n. 639 del 1996, 18, comma 1, del d.l. n. 67 del 1997, conv., con modif., dalla legge n. 135 del 1997 e 10 bis, comma 10, del d.l. n. 203 del 2005, conv. dalla legge n. 248 del 2005, ad ottenere, dalla P.A. di appartenenza, il rimborso di tutte le spese legali da lui sostenute per la difesa, eventualmente anche in eccesso rispetto a quelle liquidate a carico della stessa P.A. dalla Corte dei conti o qualora dette spese siano state integralmente o in parte compensate, e, in caso affermativo, se vi siano dei limiti a tale diritto e se questo sussista ancora dopo l’entrata in vigore dell’art. 31, comma 2, d.lgs. n. 174 del 2016”.

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