La corretta procedura del riaddebito dei maggiori costi per espropri su aree PEEP

I comuni hanno nel tempo attivato le procedure espropriative per la costruzione di alloggi di edilizia economico popolare che, a distanza di tempo, a seguito di contenziosi con i proprietari delle aree private hanno prodotto maggiori spese non addebitate nella fase iniziale.

10 Giugno 2019
Modifica zoom
100%

I comuni hanno nel tempo attivato le procedure espropriative per la costruzione di alloggi di edilizia economico popolare che, a distanza di tempo, a seguito di contenziosi con i proprietari delle aree private hanno prodotto maggiori spese non addebitate nella fase iniziale. I dubbio del comune riguarda la cessione in diritto di superficie di queste aree e le modalità del  riaddebito delle maggiori spese sostenute a seguito dei contenziosi giurisdizionali. La risposta è stata data dalla corte dei conti, Sezione di controllo per la Puglia, con la deliberazione 9 maggio 2019, n.46.

Il dubbio del Comune

Premette il Comune di aver all’epoca ceduto in diritto di superficie le aree, a suo tempo espropriate ai proprietari privati, la cui spese iniziale è stata stabilita in sede di stipula delle convenzioni di assegnazione, ma questa spesa si è rilevata insufficiente a coprire i costi sostenuti dal Comune per gli espropri delle aree, in quanto le indennità di esproprio sono state rideterminate da sentenze ormai divenute esecutive e inoppugnabili (avendo in molti casi raggiunto l’ultimo grado di giurisdizione. La domanda riguarda il fatto che l’Ente locale essendo tenuto al recupero dei maggiori oneri di esproprio nei confronti degli assegnatari dei lotti o alle singole unità immobiliari, qualora le cooperative assegnatarie si siano nel frattempo sciolte, quale procedura lo stesso debba correttamente attuare per il recupero della maggiore spesa. Un soluzione possibile, sarebbe quella le somme pretese dall’Ente nei confronti degli assegnatari in diritto di superficie siano da questi versate nella minor misura del 60%, facendo riferimento al prezzo di vendita del diritto di superficie. Inoltre, tale soluzione sarebbe conforme ad un diritto di equità risultando difficilmente giustificabile che gli assegnatari in diritto di superficie versino la stessa somma degli assegnatari in diritto di proprietà, a fronte della oggettiva diversità di situazioni giuridiche. In merito alla spesa sostenuta del 40% che resterebbe a carico dell’ente locale, il recupero potrebbe avvenire mediante successiva trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà (in caso di istanze in tal senso) o con la riassegnazione del lotto alla scadenza della concessione; con la conseguenza che il ripristino del principio del «costo zero» o del «pareggio economico» sarebbe semplicemente rinviato a un momento successivo.

Le disposizioni legislative

Premette il Collegio contabile pugliese come all’interno delle attività edificatorie di edilizia residenziale pubblica è possibile distinguere la stessa in tre diverse fattispecie: a) l’edilizia sovvenzionata, che si caratterizza per la realizzazione degli alloggi mediante sostegno finanziario interamente pubblico e nella successiva assegnazione in locazione degli stessi a fronte del pagamento di un canone inferiore ai valori di mercato; b) l’edilizia agevolata, consistente in un contributo pubblico (sotto forma di crediti agevolati e/o esenzioni fiscali) fornito ai privati per la realizzazione degli alloggi; c) l’edilizia convenzionata, il cui schema può essere così sintetizzato: il costruttore riceve in concessione un terreno a seguito di espropriazione, assumendo l’obbligo di realizzare alloggi destinati ad essere alienati o locati a prezzi predeterminati.

In caso di necessità di espropriazione di aree private necessarie alla realizzazione di attività edificatoria di edilizia residenziale, l’art.35 l. n. 865/1971 ha stabilito che le aree acquisite mediante espropriazione sono successivamente cedute in diritto di superficie per la costruzione di case di tipo economico e popolare e dei relativi servizi urbani e sociali, per un periodo non inferiore a 60 anni e non superiore a 99 anni. Il corrispettivo della concessione in diritto di superficie e i prezzi delle aree cedute in proprietà devono assicurare, nel loro insieme, la copertura delle spese sostenute dal comune o dal consorzio per l’acquisizione delle aree comprese in ciascun piano. In merito alla determinazione del prezzo di cessione del diritto di superficie la norma prevede che il prezzo non può essere superiore al 60 per cento dei prezzi di cessione riferiti allo stesso volume ed il loro versamento può essere dilazionato in un massimo di 15 annualità. La successiva possibilità da parte del Comune di poter trasformare il diritto di superficie in diritto di proprietà è previsto, invece, dalla legge 23.12.1998, n. 448, su proposta del Comune e di accettazione da parte dei singoli proprietari degli alloggi, e loro pertinenze, per la quota millesimale corrispondente, dietro pagamento di un corrispettivo. Il corrispettivo derivante dalla trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà trova la sua specifica disciplina nell’art. 31, comma 48 della l. 448/1998 (modificato dall’art. 1, comma 392, della l. 27.12.2013, n. 147, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale) secondo cui “Il corrispettivo delle aree cedute in proprietà è determinato dal comune, su parere del proprio ufficio tecnico, in misura pari al 60 per cento di quello determinato attraverso il valore venale del bene, con la facoltà per il comune di abbattere tale valore fino al 50 per cento, al netto degli oneri di concessione del diritto di superficie, rivalutati sulla base della variazione, accertata dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi tra il mese in cui sono stati versati i suddetti oneri e quello di stipula dell’atto di cessione delle aree”. La Sezione delle Autonomie ha chiarito che tale disposizione «deve essere intesa nel senso che, al fine della determinazione del corrispettivo per la trasformazione del diritto di superficie in diritto di proprietà, è data all’Ente la facoltà di abbattere sino al 50 per cento la quota percentuale da applicarsi al valore venale del bene e, dunque, correlativamente di elevare la già prevista riduzione del 40 per cento sino al 50 per cento» (delibera n. 10/SEZAUT/2015/QMIG).

La risposta del Collegio contabile

Secondo la legislazione richiamata, la soluzione del Comune non è praticabile, in quanto il legislatore ha espresso la volontà di differenziare le operazioni della concessione in superficie e della cessione in proprietà (e le connesse situazioni giuridiche soggettive), stabilendo un rapporto di congruità economica fra i corrispettivi delle stesse. Infatti, la normativa prevede espressamente il principio del pareggio economico senza porre alcuna deroga, con obbligo da parte dell’ente locale espropriante di riaddebitare le spese eventualmente sopportate in caso di maggiori costi discendenti da contenziosi giudiziari. In altri termini, la soluzione prevista dal Comune di abbattimento del 40% della maggiori spese che resterebbero al comune è solo ipotetica con il rischio che i maggiori oneri resterebbero a carico del Comune, mentre le disposizioni di legge hanno da sempre previsto la neutralità economica dell’operazione per l’ente locale. Infine, una cosa è il maggiore costo sostenuto dall’ente locale per il maggior prezzo determinato in sede di contenzioso da parte del privato ed altra cosa è un eventuale pagamento disposto dal giudice a titolo di risarcimento del danno, non potendosi ricondurre, nella previsione delle suddetta norma, la possibilità di far ricadere sui concessionari delle aree e loro aventi causa i maggiori costi determinatisi in forza di una acquisizione delle aree realizzate attraverso un fatto illecito (Cass. civ., sez. I, ordinanza 12.4.2018, n. 9066).

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento