di Roberto Rosati
Sulla regolamentazione del potere delle pubbliche amministrazioni di rifiutare le fatture, il ministero dell’economia può fare di più e meglio. Questo il senso del documento emesso dal consiglio di stato il 21 novembre 2019, a conclusione dell’esame dello schema di dm attuativo dell’articolo 15-bis del dl n. 119/2018, che ha previsto, appunto, di disciplinare il rifiuto delle fatture fornitori da parte degli enti pubblici. Questo articolo ha infatti integrato la normativa primaria in materia di fatturazione elettronica alla p.a., contenuta nella legge n. 244/2007, demandando sostanzialmente al mineconomia di stabilire «le cause che possono consentire alle amministrazioni destinatarie delle fatture elettroniche di rifiutare le stesse, nonché le modalità tecniche con le quali comunicare tale rifiuto al cedente/prestatore». Ciò anche allo scopo di «evitare rigetti impropri e di armonizzare tali modalità con le regole tecniche del processo di fatturazione elettronica tra privati»; processo che non prevede, come è noto, il rifiuto, da parte del destinatario, della fattura recapitata dal sistema di interscambio. Dai dati dell’agenzia delle entrate, peraltro, risulta che la pubblica amministrazione, nel primo semestre 2019, ha respinto circa il 6% delle fatture regolarmente accettate e recapitate dal sistema. Numeri rilevanti, che per le imprese significano più costi e maggiori ritardi nei pagamenti, le cui cause, osserva l’organo consultivo, non sono purtroppo state indagate. Venendo all’analisi dello schema del decreto, che individua cinque cause di legittimazione del rifiuto della fattura da parte dei soggetti pubblici (tra cui le ipotesi di errori od omissioni), il consiglio di stato rileva l’eccessiva vaghezza di diverse previsioni. Per esempio, il provvedimento non dedica alcuna attenzione alle modalità di comunicazione del rigetto della fattura, in particolare con riguardo alla definizione del ruolo del sistema di interscambio rispetto a quello delle amministrazioni destinatarie. Troppi, dunque, i quesiti aperti che non trovano risposta neppure nelle relazioni, e che hanno indotto la sezione consultiva per gli atti normativi a formulare alcune richieste di chiarimenti, sospendendo nel frattempo il rilascio del parere.
Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.
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