I debiti fuori bilancio e le passività potenziali rappresentano il tallone di Achille di molte amministrazioni locali e, il loro riconoscimento tempestivo, nonostante sia espressamente previsto dalla normativa, trova molte amministrazioni particolarmente ostinate nel procedere con la dovuta celerità. Molto spesso le motivazioni si rintracciano nella formazione di debiti fuori bilancio che provengono da passate amministrazioni, tanto che le amministrazioni subentrati hanno difficoltà a comprendere come tali spese pregresse debbano essere coperte nell’anno, riducendo la consistenza delle spese della nuova amministrazione con oggettive difficoltà ad attivare l’iter del loro riconoscimento.
Fatta la citata premessa, la Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo, con la deliberazione 28/11/2018 n.144 mostra non solo le conseguenze, in caso di ritardato riconoscimento dei citati debiti, ma anche le corrette procedure contabili da seguire.
Sulla tempestività del riconoscimento
Precisa il Collegio contabile come il debito fuori bilancio rappresenta un’obbligazione pecuniaria verso terzi per il pagamento di una determinata somma di denaro, assunta al di fuori delle norme giuscontabili che regolano i procedimenti di spesa. La presenza di tali passività comporta, inevitabilmente, che le esigenze di spesa dell’ente risultino superiori rispetto ai finanziamenti stanziati, con la conseguente necessità, al fine di ripristinare l’equilibrio di bilancio, di reperire ulteriori mezzi di copertura e, la relativa disciplina, è affidata all’articolo 194 del Tuel che individua, con elencazione ritenuta tassativa, le tipologie di debiti fuori bilancio e le relative procedure di riconoscimento.
L’esatta individuazione e quantificazione dei debiti fuori bilancio nel corso dell’esercizio finanziario costituisce, pertanto, un preciso dovere dell’organo consiliare, il quale è stato investito dal legislatore dell’obbligo di dare atto del permanere degli equilibri di bilancio e, in quella sede, di verificare se la sussistenza di debiti fuori bilancio possa incidere negativamente sulla situazione finanziaria o alterare i risultati di competenza. Ulteriore funzione svolta dalla delibera consiliare è l’accertamento delle cause che hanno originato l’obbligo, con le consequenziali ed eventuali responsabilità; al riguardo, questa funzione di accertamento è rafforzata dalla previsione dell’invio alla competente Procura regionale della Corte dei conti (art. 23, comma 5, legge n. 289/2002) delle delibere di riconoscimento di debito fuori bilancio.
Esaminati i principi generali, il Collegio contabile rinvia alle recenti indicazioni delle Sezioni riunite della Corte dei conti, sede giurisdizionale in speciale composizione, che con sentenza n. 11/2018 hanno sancito l’obbligo del tempestivo riconoscimento dei debiti fuori bilancio da parte degli enti locali, pena l’eventuale applicazione delle sanzioni previste per chi elude il pareggio di bilancio. E’ stato, infatti, precisato che gli enti che non procedono, entro le date previste, al formale riconoscimento dei debiti fuori bilancio in Consiglio comunale soggiacciono alla possibile scure della violazione dei saldi di finanza pubblica. Più precisamente, l’elusione del patto consiste nella violazione dell’obbligo di riconoscimento maturato secondo le disposizioni legislative o regolamentari, rinviandolo negli anni successivi. Le Sezioni riunite evidenziano, altresì, una possibile soluzione a eventuali ritardi nel riconoscimento mediante l’obbligatorio equivalente accantonamento delle risorse al fondo rischi per passività potenziali.
Debiti fuori bilancio da mancato impegno di spesa
Il Collegio contabile abruzzese evidenzia come, per i debiti derivanti da acquisizione di beni e servizi senza impegno di spesa, rappresenti un aspetto cruciale la valutazione da condurre in termini di “accertata e dimostrata utilità ed arricchimento per l’ente” (articolo 194, comma 1, lett. e) del Tuel). Difatti, ove si ritenga non sia ravvisabile né comprovabile alcuna utilità ed arricchimento per l’ente a seguito della spesa effettuata in assenza del preventivo impegno in contabilità, non potrà procedersi al relativo riconoscimento quale debito fuori bilancio in violazione di ogni vincolo di programmazione ed autorizzazione. A tale proposito, si richiama l’attenzione sul fatto che la deliberazione consiliare di riconoscimento dei debiti fuori bilancio deve fornire la concreta prova dell’utilità, congiunta all’arricchimento dell’ente che non deve essere inteso unicamente come accrescimento patrimoniale potendo consistere anche in un risparmio di spesa (tra le tante Cassazione civile, sezione I°, 12 luglio 1996, n. 6332). Va, altresì, rilevato che qualora l’acquisizione di beni e servizi avvenga in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191 del Tuel, il rapporto obbligatorio intercorre, per la parte non riconducibile ai sensi dell’articolo 194, comma 1, lett. e), del Tuel, tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura.
Debiti fuori bilancio da ripianamento di perdite di società partecipate
Altro aspetto riscontrato in sede di analisi riguarda la corretta disciplina da seguire circa il trattamento delle perdite di esercizio, per quanto attiene alle società per azioni, così come contenuta negli articoli 2446 e 2447 del codice civile. Il codice civile presta molta attenzione alle perdite nelle società di capitali perché riducono il patrimonio della società e, quindi, le garanzie nei confronti dei terzi e dei soci stessi. La disciplina civilistica che presiede agli obblighi di integrità del patrimonio sociale nelle società di capitali, nel cui ambito si colloca il capitale sociale, prevede particolari obblighi di intervento, da parte degli amministratori, del collegio sindacale e dell’assemblea, solo se la perdita gravante sul capitale sociale risulta superiore a determinate soglie. Più in particolare, la predetta soglia che fa scattare le “cautele” civilistiche è data dalla presenza di perdite di esercizio che vadano ad intaccare il capitale sociale per un ammontare superiore ad un terzo, dopo aver dapprima assorbito integralmente tutte le riserve iscritte in bilancio. Al di sotto di tale soglia, la perdita non è così rilevante ai fini di tutela del patrimonio sociale e dei terzi, con la conseguenza che non scatta alcun obbligo di legge al manifestarsi delle stesse. Si può ben comprendere, quindi, che l’aspetto dirimente possa rintracciarsi non tanto nell’entità della perdita in termini assoluti, quanto nella dimensione che il patrimonio netto viene ad assumere a seguito del risultato di esercizio di segno negativo. Ricorda il Collegio contabile, come ai sensi dell’articolo 6, comma 19, del d.l.n.78/2010 è fatto divieto, agli enti locali, di effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito nonché di rilasciare garanzia a favore di società partecipate che abbiano registrato perdite per tre esercizi consecutivi. Tuttavia, il principio sancito dal citato comma 19 accetta qualche eccezione solo per speciali ragioni di pubblico interesse e fa salvo quanto disposto dall’articolo 2447 del codice civile il quale prevede che, qualora la perdita di esercizio sia superiore al terzo (come nel caso di specie) ed intacchi il capitale minimo legale (condizione che non si riscontra nel caso di specie) l’assemblea dei soci deve deliberare la riduzione del capitale sociale con il contestuale aumento del medesimo ad un importo pari al minimo legale; la norma civilistica prevede, pertanto, per le società in perdita l’aumento di capitale quale intervento inteso come indispensabile per garantire la continuità gestionale della società. Circa la possibilità da parte dell’ente di poter riconoscere un debito fuori bilancio per il ripiano delle perdite della società partecipate, il Collegio contabile richiama la deliberazione n. 56/2011 della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Liguria, la quale chiarisce la non ammissibilità dello stesso per ricapitalizzare la società interamente partecipata dall’ente (ai sensi dell’articolo 194, comma 1, lettera c) del d.lgs. n. 267/2000), trovando la ricapitalizzazione allocazione nel bilancio dell’ente tra la spesa corrente al Titolo I, intervento 08 (oneri straordinari della gestione corrente), come da indicazione riportata nel questionario trasmesso dall’organo di revisione (cfr. quesito 1.11, pagina 28) in coerenza con la normativa precedente che non annoverava tra i trasferimenti in conto capitale quelli erogati a titolo di ripiano di disavanzi.
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