Su conti comunali torna l’incognita delle regole per gli equilibri di bilancio

il sole24ore
22 Ottobre 2019
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Luciano Cimbolini

Con la deliberazione n. 52/2019della Sezione di controllo della Corte dei conti per il Trentino – Alto Adige, si ripropone il complicato puzzle della finanza locale italiana fra saldo di finanza pubblica, equilibri di bilancio dei singoli enti e principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale. Come già ben commentato in questo giornale (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 17 ottobre), i giudici trentini hanno rimesso al Presidente della Corte dei conti di valutare un’eventuale vaglio della Sezione delle Autonomie o delle Sezioni riunite, su due questioni di massima di particolare rilevanza, ovvero, se il comma 821 della legge 145/2018 (legge di bilancio 2019) abbia abrogato i commi 1 e 1-bis dell’articolo 9 della legge 243/2012 e se, oltre a aver ridefinito il parametro dell’equilibrio di bilancio in senso difforme da quanto disposto dall’articolo 9 della legge 243/2012, abbia prodotto effetti anche sulle condizioni per il ricorso all’indebitamento da parte di Regioni ed enti locali disciplinate, in particolare, dall’articolo 10, comma 3, della stessa legge 243/2012. In parole povere, la Sezione chiede chiarimenti sui delicati rapporti che intercorrono fra il saldo di finanza pubblica individuato dalla legge rinforzata 243/2012 e gli equilibri di bilancio previsti dalle regole di bilancio armonizzate (Dlgs 118/2011) che disciplinano i bilanci di Regioni ed enti locali. La legge 243/2012 prevede un saldo di finanza pubblica, a preventivo e consuntivo, costruito sul saldo non negativo, in termini di competenza, fra entrate finali (titoli da 1 a 5) comprensive del fondo pluriennale vincolato, e spese finali (da 1 a 3), vale a dire un saldo composto da tutto ciò che sta prima del ricorso al debito e del rimborso del debito stesso. La legge di bilancio, nel rispetto della recente giurisprudenzan costituzionale (sentenze nn. 247 e 252 del 2017, n. 101 del 2018 e n. 18 del 2019), invece, declina il concetto di equilibrio dell’ente locale allorché vi sia un risultato di competenza dell’esercizio non negativo, come desumibile dal prospetto di verifica degli equilibri allegato al rendiconto della gestione previsto dall’allegato 10 del Dlgs 118/2011. L’allegato 10, di recente modificato con decorrenza anno 2021, prevede, in termini di competenza, nella sostanza, due equilibri parziali (corrente e capitale) e uno complessivo, che è la sommatoria di primi due equilibri parziali. Fra le entrate rilevanti, sono previsti sia l’avanzo di amministrazione che il fondo pluriennale vincolato. All’interno di questo contesto, rimane fermo l’articolo 162, comma 6, del Tuel, che disciplina l’equilibrio di parte corrente, che, in sintesi, prevede che le entrate correnti, con l’aggiunta del fondo pluriennale vincolato di parte corrente e dell’avanzo di amministrazione di parte corrente, non possano essere inferiori alle spese correnti sommate alle quote capitale di rimborso del debito. Il puzzle è di difficile composizione perché, sotto la spinta della giurisprudenza costituzionale, sono stati “sbloccati” avanzi e fondo pluriennale vincolato. La definizione di queste due poste di bilancio (non utilizzabili in sede comunitaria come entrate rilevanti) come variabili indipendenti in termini di saldo di finanza pubblica ha, di fatto, imposto l’eliminazione del “vecchio” pareggio di bilancio, cioè di uno strumento che intermediava, a livello ordinamentale, le regole comunitarie sui conti pubblici (Sec 2010) e la disciplina contabile armonizzata degli enti locali previste dal Tuel. Ma questo, assieme alla contestuale permanenza dell’articolo 9 della legge rinforzata 243/2012, crea una situazione di oggettiva tensione nell’ambito degli equilibri definiti dalle diverse fonti, che renderà non semplice l’opera delle magistrature chiamate a interpretare il groviglio normativo. Dan un lato, difatti, se si riterrà che l’equilibrio in termini di competenza sia, tout court, quello complessivo dell’allegato 10, risulterebbe giocoforza rilevante anche l’entrata in conto capitale derivante dal ricorso al debito, in contrasto con i principi comunitari del Sec 2010. Dall’altro canto, se si prenderà in considerazione il saldo dell’articolo 9 della legge 243/2012 (entrate finali + fondo pluriennale vincolato – spese finali), rimarrebbe fuori dal saldo il rimborso della quota capitale del debito, in contrasto con la classica costruzione dell’equilibrio di parte corrente degli enti locali previsto dall’articolo 162 comma 6 del Tuel. Questo in perfetta aderenza alle regole del Sec 2010, che vedono la movimentazione del debito in quota capitale (sia in entrate che in uscita) come «sotto la linea», ovvero quale puro movimento finanziario e, in quanto tale, non rilevante in termini di saldo di finanza pubblica e di consolidamento dei conti. Insomma, davvero un bel rompicapo per chi dovrà decidere.

Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.

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