Il Comune chiede di conoscere se, a seguito della disciplina concernente il Terzo settore, sia possibile:
1) stipulare convenzioni esclusivamente con associazioni appartenenti a tale settore;
2) concedere contributi (ordinari o straordinari) anche ad associazioni estranee al predetto contesto (es. associazioni sportive dilettantistiche).
Sentito il Servizio politiche per il terzo settore della Direzione centrale salute, politiche sociali e disabilità, si formulano le seguenti considerazioni.
Occorre, anzitutto, rappresentare che l’art. 56[1] del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 (Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106), benché sia genericamente rubricato “Convenzioni”, riguarda soltanto quelle che la pubblica amministrazione intenda sottoscrivere con due specifiche tipologie di enti del Terzo settore, ossia le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, iscritte da almeno sei mesi nel Registro unico nazionale del Terzo settore[2], per lo svolgimento, in favore di terzi, di attività o servizi sociali di interesse generale, qualora il ricorso a tale istituto si riveli più favorevole per la P.A. rispetto all’approvvigionamento di dette attività o servizi sul mercato.
La norma non propone, quindi, un modello generale di convenzione valevole per tutti gli enti del Terzo settore, indicati all’art. 4 del D.Lgs. 117/2017, né per qualsiasi delle attività di interesse generale elencate al successivo art. 5.
Relativamente all’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 56 del D.Lgs. 117/2017, infatti, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali[3] precisa che esso «è confermativo del regime giuridico preesistente: le convenzioni non sono sottoscrivibili con la generalità degli enti del Terzo settore, ma soltanto con talune tipologie di essi, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale. Tale limitazione è giustificata dal fatto che tali tipologie di soggetti sono caratterizzati ed accomunati dal fatto di avvalersi in modo prevalente dell’attività di volontari. Tale caratteristica conferisce loro una connotazione di tipo solidaristico ancora più marcata rispetto ad altre tipologie di ETS.»[4].
Al riguardo, una dottrina[5] osserva che, diversamente da quanto previsto dall’art. 55[6], che riguarda tutti gli enti del Terzo settore, l’art. 56 del D.Lgs. 117/2017 circoscrive l’ambito dei rapporti convenzionali con enti pubblici alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale iscritte nel Registro unico nazionale del Terzo settore (o, nelle more della sua istituzione, negli appositi registri già operativi) da almeno sei mesi, chiarendo che «I fattori caratterizzanti delle due categorie associative, posti alla base del trattamento differenziato, sono rappresentati dal fatto che entrambe svolgono la loro attività “avvalendosi in modo prevalente delle prestazioni dei volontari associati” (art. 32/1 comma e art. 35/1 comma) e che l’attività svolta in regime di convenzione viene effettuata esclusivamente con il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate; caratteristiche che, in ragione del loro spiccato contenuto solidaristico, rendono queste organizzazioni soggetti peculiari nella categoria degli Enti del Terzo settore e certamente quelle più prossime, nel tipo normativo, alla attuazione genuina dell’art. 2 e 3, nonché dell’art. 118, IV comma della Costituzione.».[7]
La predetta impostazione trova conferma nelle linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore negli artt. 55-57 del D.Lgs. 117/2017, adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 31 marzo 2021, n. 72, le quali chiariscono che:
– «Le convenzioni, disciplinate dagli artt. 56 e 57[8], costituiscono una delle forme tipiche nelle quali alcuni ETS – organizzazioni di volontariato ed associazioni di promozione sociale – possono concludere accordi di collaborazione con le PP.AA.»[9] [10];
– «L’art. 56 del CTS prevede una limitazione soggettiva (ODV ed APS), in ragione della peculiarità che i soggetti così qualificati presentano nello scenario della riforma del Terzo settore. Infatti, si tratta di enti che si avvalgono prevalentemente dell’attività[11] dei propri associati-volontari ed esprimono quindi una connotazione di tipo solidaristico più marcata rispetto agli altri enti del Terzo settore (cfr. TAR Lazio, sez. III-bis, 8 novembre 2018, n. 10809).».
Circa l’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 56 del D.Lgs. 117/2017 occorre, anzitutto, ricordare che il Consiglio di Stato[12], rendendo il parere sullo schema di decreto legislativo recante il Codice del Terzo settore, ha rilevato l’importanza delle disposizioni contenute in detto articolo, «che condizionano l’effettiva riuscita della riforma perché, da un lato, non v’è dubbio che una delle ragioni d’essere degli enti del terzo settore risieda proprio nell’erogazione – anche tramite convenzione – di servizi di interesse generale pure in ossequio al richiamato principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale (articolo 118, comma 4, Cost.). Dall’altro lato, però, va ricordato che alcune delle attività svolte dagli enti del terzo settore sono anche erogate da imprenditori che operano in modo concorrenziale e che potrebbero subire ripercussioni nella loro attività in considerazione del regime di favore di cui godono gli enti del terzo settore.».
Spettando al legislatore delegato «individuare il giusto punto di equilibrio, ricordando che la tutela della concorrenza è principio eurounitario cui deve uniformarsi sia l’attività legislativa sia quella amministrativa di ciascuno Stato nazionale», il Consiglio di Stato ha ritenuto di dover suggerire l’inserimento, al comma 1, nell’ambito della locuzione “servizi di interesse generale”, della precisazione che deve trattarsi di servizi “sociali” e, dopo tale locuzione, l’inciso “, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato”.
Le citate linee guida affermano che «Il medesimo art. 56 del CTS prevede una limitazione oggettiva alle sole attività o servizi sociali di interesse generale: è un ambito più ristretto rispetto a quanto previsto dall’art. 5 CTS, da interpretare alla luce sia del diritto interno (legge n. 328 del 2000), sia nella prospettiva, ben più ampia e comprensiva, tracciata dal diritto dell’Unione europea (ed alla quale il legislatore evidentemente si è ispirato: così nella COM(2006), Attuazione del programma di Lisbona: i servizi sociali d’interesse generale nell’Unione).»[13].[14]
Delineato, nei termini predetti, il quadro di riferimento relativamente alle convenzioni ex art. 56 del D.Lgs. 117/2017, occorre chiarire che all’ente locale non risulta preclusa, in assoluto, la facoltà di stipulare convenzioni con altri soggetti (siano essi gli ulteriori enti del Terzo settore o enti estranei a tale contesto).
Va, peraltro, precisato che l’esercizio della predetta facoltà non risulta consentito in termini generali, considerato che per le attività disciplinate dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) devono necessariamente applicarsi le disposizioni ivi contenute, tranne qualora previsioni di rango legislativo consentano di derogarvi.
Così, ad esempio, in virtù del disposto di cui all’art. 40, comma 2[15], del D.Lgs. 117/2017, rimane consentito il ricorso alle convenzioni disciplinate dall’art. 5[16] della legge 8 novembre 1991, n. 381 (Disciplina delle cooperative sociali).
Quanto, infine, alla possibilità, per il Comune, di concedere contributi ad associazioni che siano, o meno, enti del Terzo settore, si ritiene che essa sia ammissibile ove disposta ai sensi dell’art. 12[17] della legge 7 agosto 1990, n. 241 e della relativa disciplina regolamentare adottata dall’Ente.
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[1] La norma disciplina i presupposti, le condizioni, i contenuti e l’iter procedimentale per la stipula delle convenzioni tra le pubbliche amministrazioni e taluni enti del Terzo settore, finalizzate allo svolgimento di determinate attività o servizi. Per quanto qui rileva, appare sufficiente richiamare il disposto del comma 1, ai sensi del quale: «Le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, iscritte da almeno sei mesi nel Registro unico nazionale del Terzo settore, convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato.».
[2] O, nell’attesa della sua istituzione, in quelli attualmente previsti dalla normativa di settore (art. 101, comma 3, del D.Lgs. 117/2017).
[3] Nel documento avente ad oggetto “Codice del Terzo settore. Coinvolgimento degli Enti del Terzo settore nei rapporti con gli enti pubblici.”, predisposto per fornire un contributo ai lavori del tavolo tecnico, istituito presso l’ANAC, ai fini dell’aggiornamento 2018 del Piano Nazionale Anticorruzione.
[4] Il Ministero afferma, inoltre, che «Parimenti confermativo è il principio della rendicontazione a costi reali delle spese effettivamente sostenute e documentate dall’organizzazione, che potrà pertanto ricevere il relativo rimborso, con esclusione di qualsivoglia margine di profitto ricavabile dall’esercizio delle attività oggetto della convenzione.».
[5] Tamburini C., “Pubblica amministrazione e Terzo settore: le convenzioni con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale”, in Impresa Sociale, n. 1/2020.
[6] Il quale, disciplinando il “Coinvolgimento degli enti del Terzo settore”, stabilisce che le amministrazioni pubbliche «nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’articolo 5, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti ed in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona» (comma 1).
[7] Anche secondo altro autore (Gori L., “Gli effetti giuridici «a lungo raggio» della sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale”, in Impresa Sociale, n. 3/2020) la limitazione soggettiva prevista dalla norma «si giustifica in ragione della peculiarità che i soggetti così qualificati presentano nello scenario della riforma del Terzo settore. Infatti, si tratta di enti che si avvalgono prevalentemente dell’attività dei propri associati-volontari ed esprimono quindi una “connotazione di tipo solidaristico più marcata rispetto agli altri enti del Terzo settore”».
[8] L’art. 57 del D.Lgs. 117/2017 disciplina esclusivamente il “Servizio di trasporto sanitario di emergenza e urgenza”.
[9] L’art. 56, comma 3, primo periodo, del D.Lgs. 117/2017 dispone che l’individuazione dei soggetti con cui stipulare le convenzioni avviene nel rispetto dei principi di imparzialità, pubblicità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento, mediante procedure comparative “riservate”.
[10] Viene, quindi, precisato, che «L’art. 56 del CTS contiene una formulazione più ampia rispetto all’art. 57: la prima disposizione si configura quasi come un genus di cui la seconda costituisce una species in un settore particolare (trasporto sanitario di emergenza ed urgenza) e nel quale molto rilevante è stato il contenzioso giudiziale.».
[11] Che, come chiariscono le stesse linee guida, deve avvenire “in favore di terzi”, quindi “non degli associati”.
[12] Sezione consultiva per gli atti normativi – Commissione speciale, adunanza del 31 maggio 2017.
[13] Le linee guida segnalano, inoltre, che «Sempre sotto il profilo oggettivo, le convenzioni possono prevedere esclusivamente il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate. L’art. 56, comma 4 precisa che deve osservarsi il principio dell’effettività delle spese, con l’esclusione di qualsiasi attribuzione a titolo di maggiorazione, accantonamento, ricarico o simili, e con la limitazione del rimborso dei costi indiretti alla quota parte imputabile direttamente all’attività oggetto della convenzione. In questo modo, è assicurato anche il contributo all’efficienza del bilancio pubblico.».
[14] Per completezza espositiva, si riporta il diverso orientamento espresso – in epoca precedente ai chiarimenti ministeriali – da Tamburini C. (op. cit.), il quale, osservando che l’art. 56 del D.Lgs. 117/2017 non contiene il rinvio alla legge 8 novembre 2000, n. 328, indicato invece nell’art. 5, comma 1, lett. a), dello stesso decreto, ipotizza che la norma potrebbe non aver inteso farvi riferimento, «potendo invece riguardare, più appropriatamente, i servizi sociali nel significato normativo proprio del diritto dell’Unione Europea secondo le materie dell’allegato XIV alla direttiva 24/2014 che comprende un vasto numero di casi ascritti alla categoria di servizi sociali, riconducibili, in sintesi, a “tutti i tipi di servizi alla persona e alla comunità”.». Rilevando, poi, che l’ambito delle convenzioni comprende, accanto ai servizi sociali di interesse generale, anche le “attività … di interesse generale”, l’autore afferma che «Benché, dunque, il rinvio all’articolo 5 non sia esplicito, non sembra vi siano ragioni per ritenere che il modello dell’affidamento mediante convenzioni abbia un ambito oggettivo più limitato di quello previsto dall’art. 55.».
Analoga considerazione è stata svolta – anch’essa prima dell’emanazione delle linee guida – da Gori L. (op. cit.), secondo il quale «Una siffatta limitazione oggettiva – richiesta dal Consiglio di Stato (in sede di espressione del parere sullo schema di decreto legislativo; cfr. parere n. 1405 del 2017) – mira a “restringere” (non senza qualche diffidenza nei confronti dello strumento, che si evince chiaramente dal successivo parere del medesimo Consiglio di Stato n. 2052 del 2018) l’area del ricorso alle convenzioni: eppure, nella logica sistematica complessiva del Codice del Terzo settore, è poco comprensibile giustificare questa partizione interna alle attività di interesse generale. Si tratta di una scelta che non ha – almeno apparentemente – di una solida ratio giustificatrice in termini costituzionali, specie se letta alla luce dell’impostazione della sentenza della Corte [l’autore si riferisce alla sentenza della Corte costituzionale 26 giugno 2020, n. 131 – n.d.r.] la quale valorizza fortemente la capacità degli ETS di lambire ogni spazio della “società del bisogno”.».
[15] «Le cooperative sociali e i loro consorzi sono disciplinati dalla legge 8 novembre 1991, n. 381.».
[16] «1. Gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), ovvero con analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri della Comunità europea, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell’IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all’articolo 4, comma 1. Le convenzioni di cui al presente comma sono stipulate previo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei princìpi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza.
[…]».
[17] «1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.
- L’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1.».
La norma – che costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento, in attuazione dei canoni di trasparenza ed imparzialità che devono sempre caratterizzare l’agere pubblico – va letta unitamente all’art. 26 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, che impone la pubblicazione sia degli atti con i quali sono determinati i criteri e le modalità cui le amministrazioni devono attenersi per la concessione/attribuzione di benefici economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici o privati, sia dei singoli atti di concessione, giacché tale pubblicazione «costituisce condizione legale di efficacia dei provvedimenti che dispongono concessioni e attribuzioni di importo complessivo superiore a mille euro nel corso dell’anno solare al medesimo beneficiario».
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