Secondo il rapporto del Mef, il 51% dei consiglieri nelle partecipate comunali non riceve un compenso. Non è retribuito anche il 29% dei presidenti e il 18% di Ad e amministratori.
Il «Rapporto sulle partecipazioni delle amministrazioni pubbliche» prodotto dal Tesoro è come sempre una fonte di informazioni variegate e interessanti sul mondo delle società pubbliche.
Di quest’ultima edizione, appena licenziata con i dati aggiornati al 2020, colpisce la sezione sui «rappresentanti negli organi di governo di società ed enti», dove si tocca la questione dei compensi, sensibile sia per amministratori e sindaci delle società sia per gli amministratori degli enti soci.
Nelle società dei Comuni si registrano i livelli retributivi più bassi poiché, a differenza di quanto accade per le aziende dello Stato ognuna delle quali ha un proprio regolamento, per le aziende degli enti territoriali i compensi sono cristallizzati all’80% di quanto erogato al 31 dicembre 2013 e quindi sono fermi a dieci anni fa. Questo perché una norma del Tusp (articolo 11, comma 7) prevede che «transitoriamente» si continui ad applicare il Dl 95/2012 (articolo 4, comma 4) finché non venga pubblicato il regolamento previsto dallo stesso Testo unico (articolo 11, comma 6).
Eppure il regolamento sarebbe pressoché pronto ed è noto da anni almeno in forma di bozza, dal momento che per due volte, a distanza di anni, è stato presentato in Conferenza unificata, senza trovare in Anci e nelle Regioni una particolare ostilità. Probabilmente i Governi che si sono succeduti sono stati restii ad attuare la disposizione del Tusp per concessione alla demagogia e per il timore di costi elevati per le finanze pubbliche. Ma i numeri prodotti proprio dal Mef evidenziano una situazione diversa da quella, a volte rappresentata, di un’allegra distribuzione di prebende.
Il rapporto anzi mette di fronte al fatto che, anche prendendo in considerazione le sole forme societarie, a fronte di circa 8mila incarichi tra organi di amministrazione e di controllo, sono molto numerosi gli incarichi a titolo gratuito, che rappresentano il 51% del totale dei nominati in consigli di amministrazione, il 29% dei presidenti di società e perfino il 18% degli amministratori unici e degli amministratori delegati. Per altro, le percentuali più alte di incarichi remunerati rispetto al totale di quelli conferiti si registrano proprio per i ministeri (circa l’85%) e le altre Pa centrali.
In sostanza, il rapporto dimostra che vi è una capacità di autoregolazione delle amministrazioni locali in tema di indennità, e che non è in alcun modo giustificato il blocco dei compensi, tanto più permanendo una situazione di palese iniquità rispetto a quanto accade nelle società delle Pa centrali. Peraltro le principali società dei Comuni operano direttamente coi cittadini e non vi sarebbe neppure un impatto significativo sui conti pubblici.
* Articolo integrale pubblicato sul Sole24ore del 6 marzo 2022.
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