Società a controllo pubblico doppio intervento delle Sezione Riunite

Le disposizioni del Testo unico delle società partecipate ha aperto alcune questioni in merito alla esatta indicazioni del perimetro del controllo pubblico tanto da interessare in due occasioni diverse le Sezione Riunite della Corte dei conti.

24 Giugno 2019
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Le disposizioni del Testo unico delle società partecipate (D.lgs. n.175/2016) ha aperto alcune questioni in merito alla esatta indicazioni del perimetro del controllo pubblico tanto da interessare in due occasioni diverse le Sezione Riunite della Corte dei conti. La prima questione è stata esaminata in sede giurisdizionale in speciale composizione (sentenza n.16 del 22 maggio 2019) e la seconda in sede consultiva (deliberazione 20 giugno 2019 n.11).

La posizione delle SS.RR. in sede giurisdizionale

La vicenda riguarda il socio privato di una società a maggioranza pubblica che si è rivolto alle Sezioni Riunite della Corte dei conti al fine di far annullare alcune deliberazioni della Sezione regionale di controllo (deliberazioni nn. 61-62 e 68 del 2019 Corte dei conti Marche) per aver ordinato la riduzione del numero dei consiglieri del Consigli di Amministrazione ad un amministratore unico o al massimo, previa adozione di delibera motivata, in un numero non superiore a 5 membri, rispetto ai nove decisi. La Corte marchigiana ha, infatti, considerato violati gli artt.2 e 11 del d.gs.175/2016, trattandosi a suo dire di società rientrante all’interno del perimetro delle “società a controllo pubblico”, per il fatto di avere i soci pubblici la maggioranza delle azioni e dei voti in Consiglio di amministrazione. Rispetto alla semplice affermazione dei giudici contabili nel fare riferimento alle sole quote sociali possedute dai Comuni, la Società privata ha precisato non valorizzazione avessero sia del patto parasociale, sottoscritto anche dai soci pubblici, sia delle norme statutarie che prevedono il voto determinante del socio privato. Altro errore, secondo la prospettazione del socio privato, riguarda il fatto che il Collegio contabile ha considerato il voto unitario di tutti i partecipanti pubblici dimenticando che la maggioranza relativa (46,2% del capitale sociale) fosse intestata proprio al socio privato, in violazione della disposizione civilistica di “società a controllo pubblico” disciplinata all’art. 2359 c.c., che prevede la necessità del coordinamento tra i soci pubblici non presenti nel caso di specie.

La Corte ha precisato come nel caso di specie, una eventuale estensione di società a controllo pubblico avrebbe effetti non solo riguardo al numero di componenti del Consiglio di Amministrazione, ma anche in merito ad altri vincoli imposti dalla normativa, riguardanti il trattamento economico degli amministratori, le regole sulla incompatibilità/inconferibilità degli incarichi, i principi fondamentali sull’organizzazione e sulla gestione, la disciplina delle crisi d’impresa, le regole sulla gestione dei rapporti di lavoro e, infine gli obblighi di trasparenza. Nel merito la Corte ha considerato valide le argomentazioni della Società privata considerando errate le conclusioni della Corte marchigiana che non avrebbe dovuto basarsi esclusivamente sui soli indici costituiti dalla maggioranza di azioni e di consiglieri nel Consiglio di Amministrazione, mentre avrebbe dovuto verificare in concreto la disciplina statutaria ed i patti parasociali per verificare in che termini, le pubbliche amministrazioni che detengono partecipazioni azionarie, fossero in grado di influire sulle “decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale”. Proprio dall’esame di tali atti fondamentali emerge la posizione determinante del socio privato, con la conseguenza che non può essere configurabile, nel caso di specie, alcun controllo da parte degli enti pubblici. La Corte ha quindi annullato le deliberazioni della Sezione delle Marche.

La posizione delle SS.RR. in sede consultiva

Anche in questa occasione le Sezioni Riunite della Corte, questa volta in sede consultiva, sono state chiamata a decidere sulla questione di massima sollevata dalla Sezione dell’Umbria (deliberazione n. 57/2019) ovvero “se le società a maggioranza pubblica, partecipate da più enti ciascuno dei quali intestatario di quote inferiori al 50 per cento, siano da considerare o meno come società controllate dai soci pubblici”.

Sulla questione la Corte premette come le norme del codice civile siano recessive rispetto a quelle espressamente regolate dal d.lgs. n. 175/2016, tanto che le definizioni di “controllo” contenute nel TUSP, sono più ampie (o comunque non esattamente coincidenti) di quelle civilistiche. Infatti, secondo l’art. 2, comma 1, lettera b), il “controllo” da parte di un ente socio, oltre che nelle situazioni descritte nell’articolo 2359 cod. civ. (maggioranza del capitale sociale, disponibilità di voti sufficienti ad esercitare un’influenza dominante in assemblea ordinaria o di rapporti contrattuali aventi lo stesso effetto) “può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo” (con l’effetto di qualificare, ai fini del TUSP, come “socio controllante”, in presenza della necessità di un “consenso unanime” da parte dei soci che “condividono il controllo”, anche un’amministrazione pubblica avente una minima quota del capitale sociale). Inoltre, per quale che interessa la questione di massima, la successiva lettera m) dell’art.2 del TUPS individua le “società a controllo pubblico” come quelle in cui i requisiti previsti dall’art. 2359 cod. civ. sono esercitati “… da una o più amministrazioni”. In altri termini, la “pubblica amministrazione socia” è stata individuata come un “soggetto unitario”, indipendentemente dal fatto che il controllo venga svolto da una sola amministrazione pubblica socia o da più di esse cumulativamente.

In merito agli obblighi delle società a controllo pubblico, anche qui la Corte si sofferma sugli obblighi ad esse imposti dal legislatore (d.lgs.n. 175/2016) e precisamente: l’art. 6 (obbligo di contabilità separata e di predisposizione di specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale); l’art. 14, comma 2 (obbligo, per l’organo amministrativo, in presenza di indicatori di crisi aziendale, di adottare senza indugio provvedimenti necessari al fine di prevenire l’aggravamento, pena l’avvio della procedura prevista dall’art. 2409 cod. civ.); l’art. 11 (disciplina delle incompatibilità, dell’articolazione numerica e dei compensi massimi spettanti agli organi di amministrazione); art. 19 (sottoposizione delle assunzioni a procedure selettive, con onere di regolamentazione di criteri e modalità).

In conclusione, secondo la Corte, in virtù del combinato disposto delle lett. b) ed m) dell’art. 2 del TUSP, possono essere qualificate come “società a controllo pubblico” quelle in cui “una o più” amministrazioni dispongono della maggioranza dei voti esercitabili in assembla ordinaria (oppure di voti o rapporti contrattuali sufficienti a configurare un’influenza dominante).

Tali conclusioni, tuttavia, dovranno essere riviste quando, in virtù della presenza di patti parasociali (art. 2314-bis cod. civ.), di specifiche clausole statutarie o contrattuali (anche aventi fonte, per esempio, nello specifico caso delle società miste, nel contratto di servizio stipulato a seguito di una c.d. “gara a doppio oggetto”), risulti provato che, pur a fronte della detenzione della maggioranza delle quote societarie da parte di uno o più enti pubblici, sussista un’influenza dominante del socio privato o di più soci privati (nel caso, anche unitamente ad alcune delle amministrazioni pubbliche socie). Tali sono, d’altra parte le indicazioni contenute nella deliberazione n.16/2019 delle Sezione Riunite in speciale composizione.

Le ferme indicazioni delle SS.RR. agli enti

Al fine di evitare che gli enti pubblici che hanno la maggioranza delle quote non possano esercitare il controllo, come nel caso sopra indicato delle Sezione Riunite in speciale composizione, la Corte stigmatizza i seguenti aspetti fondamentali in caso di società a maggioranza pubblica:

  • gli enti pubblici hanno l’obbligo di attuare, e formalizzare, misure e strumenti coordinati di controllo (mediante stipula di apposti patti parasociali e/o modificando clausole statutarie) atti ad esercitare un’influenza dominante sulla società. D’altra parte, conclude la Corte, questo adempimento è strumentale, per esempio, anche ai fini dell’integrazione del c.d. “controllo analogo congiunto”, che consente un nuovo affidamento diretto (cfr. art. 2 e 16 del d.lgs. n. 175 del 2016 e art. 5 d.lgs. n. 50 del 2016) da parte di un socio di minoranza. In difetto, infatti, alla scadenza del rapporto contrattuale, non potendo procedersi ad un legittimo affidamento diretto, deve essere revocata in dubbio anche la legittimità della detenzione della partecipazione societaria (ai sensi dell’art. 4), potendo quest’ultima non rivelarsi più strettamente inerente alla missione istituzionale degli enti soci oltre che generatrice di potenziali impropri costi (o rischi, per esempio a titolo di fondo perdite, ex art. 21 TUSP) in costanza, invece, di un servizio da affidare a terzi previa gara o da gestire internamente;
  • la necessità di adeguate modalità di controllo congiunto formalizzato è strumentale all’effettiva vigilanza sull’attività espletata dalla società, nonché sul rispetto, da parte di quest’ultima, delle norme dettate dal TUSP, che prescrivono l’attribuzione di specifici obiettivi di contenimento dei costi di funzionamento e del personale (cfr. art. 19 d.lgs. n. 175 del 2016), con conseguenti profili di responsabilità in caso di omissione;
  • adozione di effettivi strumenti di controllo da parte dei plurimi enti pubblici soci risulta prodromico all’individuazione di adeguati rimedi ad eventuali crisi aziendali;
  • la formalizzazione, da parte degli enti soci, di strumenti di controllo sulle società, anche pluripartecipate, è funzionale, nel caso degli enti locali, alla strutturazione, ai sensi degli artt. 147 e 147-quater del d.lgs. n. 267 del 2000, delle procedure di controllo interno sulle società (non quotate), prescrizione rafforzata, in caso di verifica di assenza o inadeguatezza, da parte delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, da un’ipotesi di responsabilità amministrativa di tipo sanzionatorio.

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