Soccorso istruttorio dell’ente locale in caso di partecipata con capitale sotto il minimo di legge

La Corte dei Conti del Lazio ha esaminato il divieto di soccorso istruttorio e l’obbligo dell’ente locale socio in presenza di una società partecipata di convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento del medesimo.

13 Giugno 2022
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La questione della correlazione del divieto di soccorso istruttorio e l’obbligo dell’ente locale socio in presenza di una società partecipata che ha avuto una perdita di oltre un terzo del capitale, di convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo, o la trasformazione della società, è stato esaminato dalla Corte dei conti del Lazio (deliberazione n.76/2022).

Le indicazioni del Collegio contabile

La normativa introdotta dal testo unico sulle società partecipate, per i casi in cui emergano “uno o più indicatori di crisi aziendale” della società a controllo pubblico, consente agli enti locali qualsiasi forma di soccorso finanziario, a condizione che sia approvato un piano di risanamento (‘piano di ristrutturazione aziendale’) dal quale risulti comprovata la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività svolte. In caso di perdite della società partecipata, per tre esercizi consecutivi, il Tusp ha ulteriormente limitato il soccorso finanziario, prevedendo esclusivamente la sola deroga di “trasferimenti straordinari alla società”, a condizione che gli stessi siano previsti da un piano di risanamento approvato (non solo) dalla società, ma anche dall’Autorità di regolazione del settore, ove esista, e comunicato alla Corte dei conti; il piano, inoltre, deve prevedere il raggiungimento dell’equilibrio finanziario entro tre anni. Infine, ulteriore eccezione alla regola del divieto di soccorso finanziario, si prevede in caso di esigenze di continuità di servizio purché autorizzata con d.p.c.m. su richiesta dell’amministrazione “a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità”.

Avuto riguardo all’obbligo civilistico, da parte dell’ente locale, di convocare l’assemblea, per deliberare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento del medesimo a una cifra non inferiore al minimo, o la trasformazione della società, ricorda il Collegio contabile che l’eventuale riduzione del capitale al di sotto del minimo legale rappresenta una causa di scioglimento della società, ai sensi dell’art. 2484, n. 4, c.c., con conseguente avvio della fase di liquidazione della stessa. Pertanto, nei casi di riduzione del capitale sociale sotto il minimo legale, la società partecipata e, per essa, il socio pubblico, sono chiamati a compiere una scelta discrezionale tra le seguenti possibilità:

  • Scioglimento della società mediante avvio della fase di liquidazione;
  • Trasformazione della società da s.p.a. in s.r.l., sempre che il valore del capitale sociale residuo non sia inferiore (anche) al minimo previsto per il tipo societario s.r.l.;
  • Conservazione della s.p.a. mediante aumento del capitale sociale a una cifra non inferiore al minimo previsto dalla legge, secondo la previsione letterale dell’art. 2447.

Le regole indicate dal Tusp, pertanto, dovranno essere coerenti con i criteri specifici di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica e del numero di partecipazioni societarie, con la conseguenza che il ripristino del capitale sociale minimo rappresenta il presupposto logico-giuridico della conservazione dell’impresa societaria in crisi ‘grave’ e, quindi, del soccorso finanziario pubblico, da autorizzare con l’approvazione di un idoneo piano di risanamento o con l’adozione del d.p.c.m.

L’approvazione del piano di risanamento da parte dell’Autorità di regolazione del settore conferisce all’operazione il necessario crisma di attendibilità/fattibilità economico-finanziaria sulla cui base il socio pubblico può iniettare nuove risorse finanziarie per il risanamento della società, riducendo, in tal modo, il rischio di non consentite erogazioni finanziarie a fondo perduto, inefficaci rispetto agli obiettivi previsti dal legislatore. Infatti, l’esigenza di subordinare il ripristino del capitale sociale minimo alla sussistenza di effettive prospettive di risanamento della società partecipata in crisi ‘grave’ è stata affermata dalla giurisprudenza contabile già prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 175/2016, evidenziandosi che “la clausola di salvezza di cui all’art. 2447 c.c. appare utilizzabile nell’ottica della continuità imprenditoriale e non nella fase liquidatoria, in cui tale continuità è ormai esclusa. (…) Il rifinanziamento, pertanto, è ammesso solo nella prospettiva della prosecuzione dell’attività sociale, in coerenza con un programma industriale o un business plan di medio lungo periodo; di contro, la possibilità di effettuare finanziamenti straordinari è vietata nei confronti di società che non sono più in grado di proseguire, utilmente, la loro gestione caratteristica” (Sez. reg. contr. Lombardia, n. 106/2017). Sempre la magistratura contabile ha affermato che non sarebbe ammessa una ricapitalizzazione oltre il minimo di legge. Nel caso in cui il valore dovesse eccedere il minimo di legge, l’ente avrà cura di mostrare le ragioni rafforzate rispetto al minimo previsto dalle disposizioni legislative. Si tratta di un onere di motivazione analitica sulla convenienza economica della ricapitalizzazione e sulla sostenibilità finanziaria della stessa. Si tratta, in altri termini, di un obbligatorio approfondimento istruttorio da parte del socio pubblico idoneo a evidenziare le ragioni della ricapitalizzazione e di quelle che, eccezionalmente, inducano a effettuarla in misura superiore al minimo legale.

Infine, nonostante le indicate soluzioni, il Tusp prevede che, se la società partecipata registra perdite in quattro degli ultimi cinque esercizi, allora si configura l’obbligo di razionalizzazione, attuabile con la dismissione della partecipazione da parte del socio pubblico, con la cessione dell’azienda o la liquidazione e il successivo scioglimento della società, secondo scelte che attengono al merito amministrativo, non essendo più possibile, a questo punto, esperire ipotesi di risanamento dell’impresa in crisi.

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