di Gianni Trovati
Mentre a Roma si discute del ruolo chiave degli enti locali nell’attuazione del Pnrr, in Sicilia i Comuni non approvano i bilanci. Perché spesso mettere in fila i numeri significherebbe dover dichiarare il dissesto. Il bubbone è scoppiato la scorsa settimana a Palermo con l’inchiesta della Procura per falso in atto pubblico a carico del sindaco Leoluca Orlando e di 23 fra assessori, ex e dirigenti. Ma il problema va oltre i confini della città. E in realtà supera anche lo Stretto di Messina.
I numeri, prima di tutto. In Sicilia hanno approvato i bilanci preventivi di quest’anno 152 Comuni su 391; mentre i consuntivi 2020 si fermano a quota 74. In pratica, 239 municipi, il 61% del totale, mostra di non riuscire a chiudere i conti di quest’anno, mentre l’idea di tirare una riga in fondo a quelli dell’anno scorso ne spaventa 317, l’81%. La voragine è aperta prima di tutto dai buchi nella riscossione delle entrate; la riforma contabile impone di accantonare in un fondo di garanzia una somma proporzionale ai mancati incassi, e quando la riscossione non funziona il fondo si ingigantisce fino ad assorbire le risorse indispensabili per le altre attività. Altre due cifre (le ultime) per capire: in Veneto il fondo di garanzia supera l’8% delle entrate annuali in meno di un Comune su cento, in Sicilia il fenomeno si verifica nel 49,3% dei Comuni. Di qui l’allarme default, che porterà i sindaci siciliani a Roma per una manifestazione sotto Palazzo Chigi in cui chiedere aiuto. Con qualche speranza, non infondata, nella legge di bilancio.
In collaborazione con Mimesi s.r.l.
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