Riforma della Pubblica Amministrazione e scenari futuri: le sfide da non perdere

Come agire

di Luca Mazzara

La pubblica amministrazione è stata nuovamente posta sotto i riflettori di tutti i mass media. Il motivo? Cercare di cogliere le enormi potenzialità derivanti dallo slancio europeo che nella costruzione del bilancio di lungo termine, unitamente all’ambizioso progetto NextGeneration EU, al PNRR ed alla recente approvazione del c.d. Recovery Fund per l’Italia ha portato alla definizione del più imponente pacchetto di misure di stimolo all’economia europea che sia mai stato finanziato (vedi anche  FTL: L’applicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR): “Ricordiamoci della competitività dei territori e della programmazione 2022-2024”). Sono stati stanziati 1.800 miliardi di euro (di cui circa 73 dedicati alla PA) con un obiettivo certamente ambizioso ma anche fondamentalmente da ritenersi chiave di lettura per una rapida partenza del sistema Europa: rendere quest’ultima sempre più orientata alla dimensione ecologica, digitale e resiliente. Rispetto a tali obiettivi più che sfidanti, ecco che ci si è domandati quale ruolo potesse o dovesse interpretare la nostra Pubblica Amministrazione e ancora più attraverso quali progetti. Sono diversi i pilastri della nuova riforma della PA che si intende perseguire e di seguito si cercherà di suggerire alcune considerazioni che nascono dalla conoscenza, studio e frequentazione oramai trentennale di chi scrive.

Dovendo evidenziare i principali capisaldi su cui occorrerà sin da ora soffermarsi riguardo i prossimi ed auspicati virtuosi sentieri che la PA dovrà intraprendere vi sono i seguenti:

  • Managerialità
  • Semplificazione
  • Investimento in capitale umano
  • Digitalizzazione
  • Formazione avanzata
  • Dinamiche contrattuali
  • Comunicazione.

Dopo decenni caratterizzati da un lato da una costante ed impressionante produzione normativa da parte del Legislatore italiano che ha cercato (spesso invano) di introdurre “per legge” orientamenti, processi e strumenti manageriali nella PA, possiamo affermare come tale tentativo sia spesso naufragato (si pensi ai numerosi e sterili interventi mirati originariamente alla semplificazione!) a causa rispettivamente di tre motivazioni ostative:

  1. la carenza di visione organizzativa diffusa nel personale della PA, spesso selezionato con cultura giuridico-amministrativo ma senza avere la benché minima sensibilizzazione e conoscenza di cosa è un’organizzazione e di quali siano i meccanismi di base da implementare al fine di rendere la PA funzionale, efficiente ed efficace. Questo punto si collega quindi ad un altro fattore, che sembra possa ricevere a breve molte risorse destinate: la formazione post lauream.
  2. La cronica propensione alla misurazione della performance (preventiva e consuntiva) da parte di tutto il personale dirigenziale ed apicale dei vari comparti della PA. Una volta per tutte (ma sono solito ricordarlo dall’inizio degli anni ’90 del secolo scorso…), la misurazione è fondamentale come prima cosa nel tentativo di attribuire una determinata “dimensione” ad un problema da dover risolvere; una volta associato un valore al potenziale problema da dover affrontare si diviene consapevoli della maggior o minore gravità dello stesso e quindi ciò diviene propedeutico alla programmazione delle conseguenti attività, alla gestione di queste ultime, al controllo, alla valutazione (con conseguente riconoscimento dell’eventuale premialità) e anche al confronto con quanto realizzato da altre tipologie di organizzazioni (aziende lucrative o organizzazioni non profit) operanti nel medesimo settore.

L’investimento in capitale umano in una Pubblica Amministrazione tra le più vecchie in Europa come età media (situazione ulteriormente aggravata dal recente ma lungo blocco del turn over del personale) richiede altresì che si possa intraprendere una revisione dei criteri di reclutamento improntati a standard di qualità come background di studi universitari, a capacità linguistiche ed informatiche oltre ad una forma mentis improntata sempre più a logiche di team building. Come sempre, onde avviare percorsi virtuosi (anche incentivati da specifici istituti normativi) occorrerà riconoscere un percorso di valorizzazione delle RU che possa veder premiata la volontà del singolo di crescere e mettersi in discussione. Formazione e sistemi incentivanti sono e resteranno dunque chiavi di lettura su cui rilanciare i processi di innovazione nella PA. Dopo aver toccato con mano quanto sia stato utile introdurre istituti quali lo smart working o anche lavoro emergenziale, non potremo più mantenere la configurazione organizzative di molte pubbliche amministrazioni raggiunte negli ultimi decenni: la flessibilità di orari e la ricerca delle migliori condizioni di benessere lavorativo andranno sempre più considerate anche nella definizione dei futuri contratti del pubblico impiego. Da qui sorge già anche la necessità di pensare a come riuscire a misurare la performance del dipendente in smart o in lavoro agile, fabbisogno tra l’altro già evidenziato anche dalla stessa Corte dei conti nelle recenti deliberazioni. L’avvento traumatico della pandemia ci ha insegnato a riconoscere nuove esigenze  impellenti e a normarle sia sotto il profilo giuridico che previdenziale e fiscale. Occorre ora anche incentrare il proprio sforzo per occuparsi efficacemente della dimensione organizzativa e incentivante.

La Pubblica Amministrazione italiana non ha dimostrato in questi anni di aver appreso cosa e come comunicare efficacemente all’esterno le proprie attività e soprattutto le rispettive performance. Anche perché per farlo si richiederebbe una capacità organizzativa improntata alla chiara intenzione e volontà di porsi obiettivi sfidanti, misurarli preventivante per poi orientare tutti i comportamenti verso il raggiungimento di tali obiettivi, da rendicontare in modo trasparente in modo sistematico attraverso siti web e piattaforme digitali. Vista la ricordata consolidata scarsa propensione alla misurazione della performance in tutti i settori e comparti della PA, non possiamo certo essere fieri di quanto finora conseguito (salvando ovviamente numerose eccezioni virtuose maturate lungo il Paese). Certamente l’attuale fotografia della PA italiana (seppur in evidente miglioramento) non corrisponde a tale visione. Allora perché non cogliere la grande occasione di ingenti risorse che verranno riversate anche sulla PA per non fare il grande salto di qualità? Sempre prediligendo ovviamente una visione sistemica ma anche un coinvolgimento equilibrato dei diversi livelli istituzionali caratterizzanti la gerarchia della PA: Ministeri, Regioni, Province, Comuni ed Unioni dei Comuni, cercando di sfruttare ed ottimizzare una volta per tutte la grande possibilità di lavorare di squadra, dando concretezza all’idea di sviluppo della tanto auspicata “area vasta” come bacino ottimale per garantire determinati volumi di servizi improntati a livelli di qualità. Con l’auspicio che si possa considerare il presente la vigilia di un’era di ricerca di comportamenti virtuosi e propositivi della nostra PA. Solo allora avrà senso parlare anche di una comunicazione trasparente in grado di rendere edotti i cittadini, facendo crescere anche la loro cultura di ciò che è gestito dalla PA, mettendoli in condizione di apprezzare l’operato di tante (e crescenti) Pubbliche Amministrazioni, potendo ciò contribuire a modificare lo stereotipo di Pubblica Amministrazione = organizzazione inefficiente e popolata di dipendenti non attaccati all’identità ed ai valori dell’ente in cui sono impiegati.

 

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