Revisori, il 23% dei comuni non rispetta l’equo compenso

ItaliaOggi
15 Aprile 2021
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Il 23% dei comuni non applica ai revisori un equo compenso. Il che significa che, in assenza di limiti retributivi minimi previsti per legge, più di un comune su 5 (e non si tratta sempre di piccoli enti, ma spesso di municipi sopra i 15 mila abitanti) non tiene conto dei parametri massimi di retribuzione fissati dal dm 21 dicembre 2018 e non applica le indicazioni dell’Osservatorio sulla finanza locale del Mininterno che in via interpretativa ha fissato i compensi minimi per i revisori locali nel limite massimo previsto per la fascia demografica immediatamente inferiore a quella dell’ente in cui si presta servizio. Per questo il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (Cndcec) raccomanda ai revisori locali di non accettare incarichi che prevedono compensi manifestamente inadeguati e iniqui. E invita a segnalare al Cndcec le offerte di incarichi con corrispettivi inferiori ai minimi. Sono raccomandazioni, contenute in un documento che sarà illustrato oggi in un webinar sui controlli negli enti locali organizzato dallo stesso Consiglio con la Fondazione nazionale dei commercialisti e con il patrocinio di Anci, che il Cndcec ha indirizzato ai revisori per salvaguardare il decoro della professione e il rispetto del principio dell’ «equo compenso» da cui la p.a. non può sottrarsi. Il Cndcec chiede ai propri iscritti di valutare con estrema attenzione l’opportunità di accettare incarichi di revisore negli enti locali che prevedono compensi manifestamente inadeguati in relazione al numero e alla complessità degli adempimenti, o comunque iniqui. «La raccomandazione del Consiglio nazionale», ha spiegato il vicepresidente Davide Di Russo, «intende favorire una risposta coordinata della professione dinanzi a pratiche inammissibilmente lesive del decoro del professionista e dell’interesse pubblico, costituzionalmente tutelato, a una prestazione di qualità, impossibile da garantire al di sotto dei livelli minimi di remunerazione coincidenti con la nozione di equo compenso». «Per questo», ha aggiunto, «invitiamo i nostri colleghi anche a segnalare al Consiglio nazionale, per il tramite degli Ordini territoriali di appartenenza, offerte di compensi al di sotto del limite massimo della fascia demografica immediatamente inferiore». Il tema dei compensi per la categoria è quantomai attuale visti i compiti di sempre maggiore responsabilità affidati ai revisori, anche durante l’emergenza Covid. Un incremento di responsabilità a cui però non ha fatto seguito un intervento da parte del legislatore nazionale a tutela dell’equo compenso della categoria. Infatti, nonostante le numerose proposte di legge presentate nel corso dell’attuale legislatura (tra cui il ddl n.1730) sulla tutela dei liberi professionisti nei confronti della p.a., non vi è ancora una norma di legge che vieti agli enti pubblici di conferire incarichi professionali retribuiti con un compenso non proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto. Certo, c’è il principio fi ssato per gli avvocati dal decreto legge n. 148/2017 (ed esteso, in quanto compatibile, anche alle prestazioni rese da tutti i professionisti) secondo cui la p.a. «garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti», ma tale principio non ha impedito, ha osservato il Cndcec nel documento, «il frequente verifi carsi di situazioni paradossali nelle quali l’ente locale fissa un compenso manifestamente e arbitrariamente irrisorio». «Anche grazie all’insistenza del Consiglio nazionale, che ha molto investito sulla formazione dei revisori, sono stati negli anni scorsi finalmente aumentati i limiti massimi al compenso, ma si tratta di un risultato che rischia di essere vanificato se, in virtù di un vuoto normativo, si propongono al revisore compensi tanto esigui da compromettere obiettivamente il regolare svolgimento della funzione», ha osservato Di Russo. La tendenza al ribasso sui compensi dei professionisti appare comune a tutte le aree del Paese: da Nord (dove un ente di 31.272 abitanti ha deliberato un compenso di 6.000 euro, ossia meno della metà dei 12.890 euro da individuarsi come soglia minima di riferimento) a Sud (con l’esempio di un ente di 521 abitanti che ha deliberato un compenso pari a 388 euro, oltre rimborso spese fi no ad un massimo di 1.544 €, a fronte di un minimo che non potrebbe essere inferiore a € 2.480 euro). «Tali deprecabili episodi», ha concluso Di Russo, «sono favoriti dall’assenza di tutela concreta al principio dell’equo compenso».
Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.

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