Anche se titolari di partita IVA, cosa che potrebbe trarre in inganno la società che abbia conferito incarichi a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, per la Cassazione (sentenza n.38314/2021) alla società va applicata la sanzione di cui all’art.53, comma 9, del d.lgs. 165/01 pari al doppio dei compensi corrisposti, il cui accertamento compete all’Agenzia delle Entrate.
La vicenda
A seguito dell’ordinanza ingiunzione dell’Agenzia delle Entrate, con la quale aveva sanzionato una cooperativa, ritenuta colpevole di aver conferito incarichi a dipendenti pubblici non previamente autorizzati dalla propria amministrazione di appartenenza, la cooperativa si è opposta. A supporto dell’opposizione la società ha precisato che l’incarico era stato conferito a tre infermieri, che erano altresì pubblici dipendenti, nell’inconsapevolezza del loro status, atteso che gli stessi si erano presentati vantando la qualità di liberi professionisti, esibendo il certificato di attribuzione della partita IVA, l’iscrizione all’albo professionale ed alla relativa Cassa di Previdenza. Il Tribunale e successivamente la Corte di appello dava ragione alla società, stante la mancanza dell’elemento soggettivo della colpa, atteso il ricorrere di un errore di fatto scaturente da concreti elementi idonei a determinare un’errata percezione della realtà. Inoltre, a dire dei giudici di appello, se è vero che il Testo unico sul pubblico impiego vieta il cumulo di impieghi ed incarichi dei pubblici dipendenti, in assenza di una preventiva autorizzazione da parte della stessa PA, ma non indica quale sia lo specifico onere imposto al datore di lavoro privato onde assicurare il controllo sulla qualità del soggetto cui conferisce l’incarico. La norma, infatti, presuppone la richiesta di preventiva autorizzazione nel caso in cui il soggetto abbia previamente dichiarato al datore di lavoro privato la sua qualità di dipendente pubblico.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’Agenzia delle Entrate secondo la quale avrebbero errato i giudici di appello affermando che fosse sufficiente per la cooperativa ricevere le dichiarazioni dei dipendenti, senza che fossero imposti ulteriori controlli a carico del datore di lavoro privato. In altri termini, la cooperativa non avrebbe compiuto alcuna autonoma attività di verifica circa la veridicità di quanto riferito dagli infermieri assunti.
Le indicazioni della Cassazione
Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è stato ritenuto fondato. Infatti, in diverse occasioni il giudice di legittimità ha ribadito come, in tema di pubblico impiego privatizzato, l’esperimento di incarichi extraistituzionali retribuiti da parte di dipendenti della P.A. è condizionato al previo rilascio di autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza, con un onere di verifica dell’assenza delle condizioni che ne impongono la richiesta posto a carico dell’ente pubblico economico o del datore di lavoro privato conferenti dall’art. 53, comma 9, del d.lgs. n. 165 del 2001, senza che detta verifica possa essere surrogata dalle dichiarazioni dei lavoratori che attestino la superfluità dell’autorizzazione, in quanto inidonee ad elidere la colpevolezza della condotta del conferente (tra le tante Cass. n.25752/2016).
In altri termini, se ciò non fosse vero, la violazione di cui all’art. 53 in esame, sarebbe priva di effettività se nessun onere sussistesse a carico del datore di lavoro in ordine alla verifica dell’assenza delle condizioni per cui è prevista l’autorizzazione. Né quanto richiesto al datore di lavoro dal citato comma 9, può essere trasferito a carico del lavoratore. A differenza della società privata, anche il dipendente pubblico concorre all’attuazione della disciplina sulla incompatibilità, cumulo di impieghi e incarichi, ma la norma di riferimento per quest’ultimo, va individuata nell’art. 53, comma 7, che prende in esame le conseguenze per
il lavoratore della mancanza di autorizzazione a svolgere l’incarico extra-istituzionale. Anche di recente, il giudice di legittimità, ha precisato che l’attribuzione di incarichi extraistituzionali retribuiti a dipendenti della P.A. è condizionato al previo rilascio di autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza, con un onere di verifica dell’assenza delle condizioni che ne impongono la richiesta posto a carico dell’ente pubblico economico o del datore di lavoro privato conferenti dall’art. 53, comma 9, del d.lgs. n. 165 del 2001, senza che detta verifica possa essere surrogata dalle dichiarazioni dei lavoratori che attestino la superfluità dell’autorizzazione, in quanto inidonee ad elidere la colposità della condotta del conferente (Cass. n. 9289/2020).
Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, pertanto, è stato accolto con rinvio alla Corte di appello, in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto enunciati.
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