DI Manuela Perrone, Gianni Trovati (29/05/2024)
Il decreto sulla spending review degli enti locali parametrata per metà ai fondi Pnrr imbocca il sentiero appena percorso dal redditometro.
Dopo giorni di tensioni nel Governo e nella maggioranza, infatti, arriva il primo stop: ad accendere il semaforo rosso per il decreto scritto dal ministero dell’Economia è stato Matteo Piantedosi, il ministro dell’Interno che ha il compito di scrivere l’ordine del giorno della Conferenza Stato-Città e che dovrebbe essere, insieme al titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il cofirmatario del Dm. Il testo non sarà esaminato nella riunione di domani, e la sua mancata iscrizione in agenda evita di far scattare il conto alla rovescia che per legge permette al Governo di approvare il decreto dopo 20 giorni anche senza l’intesa con gli enti locali. Se ne parlerà dopo l’8 e 9 giugno, il fine settimana elettorale che oltre alle europee coinvolge quasi la metà dei Comuni. Proprio la vigilia delle urne ha contribuito a infiammare le polemiche intorno al meccanismo elaborato a via XX Settembre che misura i tagli da applicare a ogni ente locale (250 milioni quest’anno, 1,25 miliardi fino al 2028) per il 50% in base alla spesa corrente, per l’altra metà in modo proporzionale ai fondi Pnrr.
Questo secondo criterio colpisce ovviamente le amministrazioni che più si sono impegnate nella partecipazione agli investimenti del Piano e, in generale, penalizza i Comuni medio piccoli e gli enti del Sud (Sole 24 Ore di ieri). Ma al di là delle cifre di dettaglio, è stata la connessione tagli-Pnrr ad agitare il dibattito, anche per la visione trapelata dai piani alti del Mef delle risorse di Next Generation Eu come una sorta di «regalo» che permette di sostenere riduzioni di spesa maggiori.
Questa connessione ha acceso la rivolta dei sindaci di ogni colore, compresi esponenti della Lega come il presidente di Anci Veneto e sindaco di Treviso Marco Conte, e ha trasformato il dossier in una patata bollente anche per il ministro che al Pnrr ha la delega, Raffaele Fitto. Era stato lui domenica, dal Festival dell’economia di Trento, a promettere l’apertura di un «confronto».
L’alt deciso ieri al Viminale, dopo un pressing arrivato intenso in particolare da Forza Italia, allunga i tempi della partita, ma non ne modifica gli assetti. Dalla premier Giorgia Meloni, che pure lunedì ha inaugurato la cabina di coordinamento delle prefetture per il monitoraggio del Piano sui territori, non è giunta neppure una parola. E lo stesso silenzio è stato osservato da Giorgetti, promotore del legame fra spending e Pnrr. L’unico a replicare alle opposizioni è stato Fitto, che però finora ha voluto difendere l’impianto.
I sindaci sperano di utilizzare questi tempi supplementari per portare due modifiche all’architettura disegnata dalla bozza di Dm: ridurre sensibilmente la quota di spending correlata ai fondi europei e abbassare in modo drastico la clausola che permette al taglio ancorato al Pnrr di valere fino al triplo di quello parametrato alla spesa. «Sono convinto che troveremo una soluzione di buon senso, rispettando anche la volontà del Mef di considerare nei criteri del taglio anche le risorse Pnrr, così come scritto nella legge di bilancio», giura il sindaco di Novara Alessandro Canelli, presidente dell’Ifel e importante esponente leghista sui territori. «Oggi più che mai – aggiunge – serve una grande collaborazione istituzionale per raggiungere gli obiettivi e penso che nessuno voglia ostacolare il grande lavoro che stanno facendo i Comuni». A riprova di questo impegno locale, gli ultimi dati dello stesso Istituto per la finanza locale dell’Anci indicano il primato di Comuni e Province nell’attuazione del Pnrr: negli enti locali è stata pubblicata la quasi totalità dei bandi rispetto al finanziamento, a ritmo doppio rispetto alla media delle Pa, mentre la quota di aggiudicazioni supera il 50% contro il 32% del totale Pa e il modesto 5% registrato dai ministeri.
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