Si è discusso molto in queste settimane sulla spesa effettiva del Pnrr che si è rivelata decisamente più leggera del previsto, fermandosi nel 2021-22 a 20,5 miliardi di euro contro i 41,7 previsti all’inizio e i 33,5 stimati ad aprile nel Def. Il tema è importante ma ce n’è un altro più cruciale, che sembra attirare meno l’attenzione nel dibattito nazionale: la partita vera per la realizzazione degli investimenti si gioca nel 2023, e il ruolo di centravanti tocca prima di tutto ai Comuni, interessati da 43 fra investimenti e sub-investimenti articolati fra 9 componenti lungo tutte le 6 missioni del Piano.
Un numero lo spiega. Secondo un monitoraggio appena condotto dalla Ragioneria generale dello Stato i Comuni «attuatori» di almeno un investimento del Pnrr sono 5.708, il 72,2% del totale. Fuori ne restano quindi 2.196, il 27,8%, che però sono interessati da progetti generali come quelli sulla digitalizzazione della Pa o la semplificazione amministrativa. Restando ai soli attuatori, il coinvolgimento è al 100% per le città dai 60mila abitanti in su, è al 98,8% per gli enti fra i 20mila e 60mila abitanti, resta fra il 69,4% e l’88,6% nelle fasce demografiche più basse e si attesta a un comunque elevato 61% per i paesi più piccoli, quelli che non raggiungono i mille abitanti. L’80% dei Comuni attuatori del Pnrr, cioè 4.582 su 5.708, è sotto i 10mila residenti.
La traduzione dei 40 miliardi Pnrr di competenza degli enti locali in asili nido, scuole, rigenerazione di edifici e spazi pubblici o in comunità energetica è quindi prima di tutto una sfida diffusa nei centri medio-piccoli. Il dato è facile da spiegare se si pensa alla geografia amministrativa italiana, ed è in linea con uno degli obiettivi trasversali al Pnrr che punta alla «coesione» fra i territori e quindi deve rivolgere un’attenzione particolare alle aree interne mediamente più svantaggiate rispetto alle città. Ma solleva una difficoltà in più. Un ultimo dato coerente con la natura del Pnrr è la prevalenza delle regioni centro-meridionali, dove si incontrano 3.099 Comuni attuatori cioè il 54,3% del totale e dove però le difficoltà amministrative prodotte dalle carenze di personale sono mediamente più profonde.
Il punto, come sottolineato anche dal presidente dell’Anci Antonio Decaro nella lettera inviata nei giorni scorsi al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, è che il 2022 è stato l’anno dei bandi e delle assegnazioni di fondi, ma il prossimo deve essere quello dell’aggiudicazione e dell’avvio dei lavori. Il calendario è implacabile nell’indicare che i tempi sono stretti, per esempio per gli asili nido su cui solo ora stanno arrivando le proposte di accordo ministeriale (Sole 24 Ore del 3 novembre); e il «rafforzamento amministrativo» è lento nel garantire ovunque le competenze necessarie. La questione vera è lì, più che nei dibattiti teorici sulle «modifiche al Pnrr».
* Articolo integrale pubblicato su Italiaoggi del 7 novembre 2022.
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