Per la Sezione delle Autonomie il decreto crescita non si applica all’Unione dei comuni

La possibilità di poter estendere alle Unioni dei comuni la disciplina del decreto crescita è stata negata dalla Sezione delle Autonomie, sollecitata dalla Corte dei conti della Lombardia, ad una questione di massima.

15 Aprile 2021
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La possibilità di poter estendere alle Unioni dei comuni la disciplina del decreto crescita è stata negata dalla Sezione delle Autonomie (deliberazione n.4/2021), sollecitata dalla Corte dei conti della Lombardia, ad una questione di massima. Restano, pertanto, vigenti i limiti di cui all’art.1 comma 229, della legge n. 208/2015 alle Unioni di comuni, alle quali è consentita l’assunzione di personale con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato “nei limiti del 100 per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell’anno precedente”.

La soluzione della Sezione della Lombardia

A dire della Sezione delle Lombardia, interrogata sulla questione della quantificazione delle capacità assunzioni delle Unioni dei comuni, i profondi mutamenti intervenuti nel quadro delle regole dei vincoli alle assunzioni, non più basati sul dato “statico” della spesa storica, ma su quello “dinamico” della sostenibilità finanziaria della spesa per il personale, impongano il ricorso al generale criterio del c.d. “ribaltamento” pro quota delle spese (e, oggi, delle entrate correnti) dall’Unione ai comuni, che dunque deve necessariamente trovare applicazione anche per le Unioni alle quali sia stato trasferito tutto il personale dei comuni. In tale cornice, le entrate correnti dell’Unione afferenti alle funzioni svolte in via associata devono considerarsi al netto delle somme trasferite dai singoli comuni per il personale comandato dall’Unione e destinato allo svolgimento delle funzioni non trasferite all’Unione e trattenute dai singoli comuni, perché altrimenti tali somme sarebbero computate due volte: prima come entrate dei singoli comuni e poi come entrate dell’Unione.

La decisione

La soluzione indicata dalla Sezione lombardo non ha convinto la Sezione delle Autonomie chiamata a fornire un orientamento nomofilattico sulla questione della possibile estensione delle capacità assuzionali previste dal decreto crescita anche alle Unioni dei comuni.

La Sezione lombarda, infatti, rileva “i profondi mutamenti intervenuti nel quadro delle regole dei vincoli alle assunzioni”, ma, al tempo stesso, sembra affermare che il nuovo metodo di calcolo dei limiti di spesa per i Comuni possa convivere con i vecchi vincoli di carattere generale da utilizzare nel valutare la spesa delle Unioni, vale a dire l’invarianza ex art. 32 TUEL e la progressiva riduzione della spesa. In altre parole, da una parte viene affermata la radicalità del mutamento di disciplina, dall’altra non viene rilevato che nella nuova disciplina applicabile ai Comuni il limite massimo della spesa non è più astrattamente calibrato sul valore assoluto degli spazi assunzionali liberati a prescindere dalla sostenibilità finanziaria della spesa, ma è ancorato solo ed esclusivamente proprio a quel concetto di sostenibilità, che, nella nuova impostazione, prescinde dagli spazi assunzionali. A tale dimostrazione è lo stesso legislatore che fornisce la soluzione, al momento in cui introduce una deroga alla sostenibilità per i Comuni più piccoli al solo fine di consentire l’assunzione di almeno una unità di personale, permettendo quindi l’assunzione in deroga alla soglia di appartenenza, ma ancorandola all’ importo fisso dei 38.000 euro non cumulabili. In altri termini, tale deroga è finalizzata a disciplinare una fattispecie particolare che riguarda sempre i Comuni, seppur di piccole dimensioni, che partecipano a una Unione, e non è invece destinata alle Unioni. Prova ne sia che, la Circolare attuativa del medesimo DM 17 marzo 2020 adottata con successivo decreto interministeriale 3 giugno 2020, in riferimento a tale norma afferma che “Il comma 3 dell’art. 5 del decreto attuativo detta disposizioni specifiche per i piccoli Comuni. Per il periodo 2020-2024, i Comuni con meno di 5.000 abitanti, che si collocano al di sotto del valore soglia definito dall’articolo 4 (valore-soglia più basso), che fanno parte di Unioni di Comuni, e per i quali la maggior spesa di personale consentita dal decreto non risulterebbe sufficiente all’assunzione di almeno una unità di personale a tempo indeterminato, hanno la facoltà di incrementare la propria spesa nella misura massima di 38.000 euro (costo medio lordo stimato per un dipendente a tempo pieno e indeterminato), al fine di assumere a tempo indeterminato un’unità di personale da collocare in comando obbligatorio presso l’Unione, con oneri a carico della stessa”.

Rileva, in ogni caso la Sezione Autonomie, come la disciplina introdotta dal d.l. n. 34/2019, incentrata sulla sostenibilità finanziaria della spesa per assunzioni di personale, ponga notevoli problemi di coordinamento con la disciplina di cui all’art. 1, commi 557- quater e 562 della legge n. 296/2006, che ha come ratio il contenimento di tale spesa. Problemi che comportano evidenti difficoltà applicative e che richiederebbero un intervento di chiarificazione del legislatore.

La evidenziata discrasia, tuttavia, non è sufficiente per escludere la perdurante applicabilità dell’art. 1, comma 229, della legge n. 208/2015 alle Unioni di comuni, alle quali si deve, pertanto, ritenere consentita l’assunzione di personale con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato “nei limiti del 100 per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell’anno precedente”.

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