Doccia fredda per il Comune che aveva scelto l’avvocato con una procedura ad evidenza pubblica con pagamento forfettario della cause trattate, a nulla rilevando la possibile formazione di debiti fuori bilancio e la firma della convenzione. Secondo la Cassazione (sentenza 14 ottobre 2019 n.25830) pur in presenza della firma della convenzione, la rinuncia dell’avvocato all’applicazione dei minimi tariffari avrebbe dovuto essere fatta con separato atto, la mancata iscrizione in bilancio della provvista economica non è valida per gli avvocati essendo la spesa gravante su un capitolo generico la cui variazione andrebbe adeguata di anno in anno in funzione delle cause trattate. La nullità della convenzione nella parte riguardante la parte economica è nulla e come tale va integrata in automatico con i minimi tariffari, che hanno condotto il Comune ad un esborso consistente per tutte le cause trattate e riconvertite secondo i minimi tariffari.
La vicenda
A seguito di selezione pubblica il Comune affidava il contratto di lavoro autonomo ad un avvocato del libero foro prevedendo in convenzione il pagamento forfettario della cause trattate in favore del Comune, dall’anno 1999 al 2003, data quest’ultima di cessazione dell’incarico. L’avvocato, a fronte dei pagamenti ricevuti ricorreva al giudice civile al fine di farsi riconoscere i maggiori importi calcolati secondo le tariffe minime previste dalla legge e non derogabili tra le parti. La clausola del contratto prevista in violazione dei minimi tariffari doveva essere considerata nulla ed etero integrata ai minimi tariffati. A differenza del tribunale di primo grado che aveva dato ragione all’avvocato, la Corte di appello in riforma della sentenza ha stabilito che nulla era dovuto all’avvocato. In particolare, secondo i giudici di appello, l’amministrativo che ha condotto alla scelta del professionista, incentrato sulla comparazione delle offerte, la necessità della predeterminazione della spesa ed il sistema di controlli peculiari della P.A. verrebbero del tutto vanificati laddove la pattuizione del compenso dovesse essere posta nel nulla ex post, sulla base di parametri di determinazione del corrispettivo disomogenei rispetto a quelli di originaria determinazione procedimento. Inoltre, la Corte ha precisato che principio di diritto alla cui stregua i minimi tariffari possono formare oggetto di rinunzia da parte del professionista anche per ragioni di convenienza di quest’ultimo. Infatti, nel caso di specie l’avvocato per propria convenienza, nel formulare l’offerta, ha implicitamente rinunziato a maggiori compensi e che, anche avuto riguardo all’oggetto della prestazione, non fosse ravvisabile una predeterminazione consensuale dei compensi finalizzata ad infrangere la norma imperativa.
Contro la sentenza dei giudici di appello l’avvocato è ricorso in Cassazione.
Le indicazioni del giudici di legittimità
Secondo la Cassazione il ricorso dell’avvocato è fondato per le seguenti ragioni:
- I giudici di Piazza Cavour rilevano in via preliminare come le prestazioni professionali per cui è causa sono state tutte rese in epoca anteriore all’ entrata in vigore del decreto legge n. 223 del 2006 (c.d. “decreto Bersani”) che ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali;
- l’articolo 24 della legge n. 794/1942, applicato ratione temporis, prevede che «Gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili. Ogni convenzione contraria è nulla. Si tratta delle tariffe sia dovute in sede giudiziaria che extra giudiziarie;
- rispetto alle indicazioni della Corte di appello, non è l’operatività dei minimi inderogabili di tariffa (e quindi del diritto del professionista ad un compenso non inferiore a detti minimi per ciascuna singola attività dal medesimo svolta) ad essere paralizzata da un patto di determinazione forfettaria e globale del compenso di un avvocato per tutte le prestazioni rese ad un medesimo cliente in un determinato arco temporale, ma è tale patto ad essere folgorato di nullità dalle norme imperative che impongono i suddetti minimi;
- in merito al mancato impegno di spesa, la Cassazione rileva come l’inderogabilità dei minimi tariffari stabili per legge nulla hanno a che vedere con i debiti fuori bilancio, in quanto si è in presenza di passività potenziali che andrebbero ad adeguare il capitolo di bilancio della spese processuali;
- a differenza delle conclusioni della Corte di appello, non si è nel caso di specie in presenza di una nullità sopravvenuta ma di una nullità originaria, che affligge tale pattuizione per il fatto che essa disancora dai minimi tariffari l’importo del compenso dovuto al professionista, quantificando quest’ultimo in una misura che non costituisce un “minimo garantito” ma, appunto, un forfait. In questo caso alla nullità originaria consegue la sostituzione automatica della clausola nulla con la disciplina imperativa dei minimi tariffari, secondo il meccanismo indicato dall’articolo 1419, secondo comma, c.c.;
- Anche l’assunto della Corte territoriale sull’accettazione implicita da parte dell’avvocato al momento della sottoscrizione del contratto, non risulta conforme a legge. Infatti, l’art. 1419 c.c. dispone che le clausole nulle per contrasto con nome imperative sono sostituite di diritto dalle norme di riferimento. E’ vero, secondo la Cassazione, che l’applicazione dei minimi tariffari possono costituire oggetto di rinuncia, ma la stessa deve essere distinta dalla convenzione. Le Sezioni Unite (sentenza n.267/1966) hanno da tempo chiarito che «la convenzione tra cliente e professionista con la quale questi rinunzia parzialmente, o in relazione a determinate controversie soltanto, ai suoi compensi è valida quando risulti che la rinunzia sia a sé stante, in modo che in relazione ad essa soltanto possa parlarsi di una convenzione con presupposti causali autonomi e gratuiti.
Conclusioni
Per la Cassazione, quindi, la sentenza della Corte di appello deve essere annullata e rimessa la causa ad altra Corte territoriale in diversa composizione.
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