Partecipate, ricorso al Dl Liquidità evitando il rischio da sovraindebitamento

il sole24ore
12 Giugno 2020
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di Cesare Spezia e Andrea Rancan

La pandemia Covid-19 ha colpito il sistema economico perché ha imposto un forzato lockdown alle aziende, ed impone oggi adeguamenti di strutture e procedure per la ripartenza. Ora, con la necessità di sostenere la ripresa delle attività economiche, diviene importante anche comprendere come sfruttare le risorse e gli strumenti messi in campo dal Governo, in particolar modo con il ‘Dl Liquidità’ e il ‘Dl Rilancio’. Anche le società pubbliche e gli enti locali soci sono interessati da tale tematica, che deve essere strettamente correlata all’esigenza di rivedere ed aggiornare i programmi di valutazione del rischio ex art. 6, c. 2 Tusp (vedi anche articolo del 28/5/20). Tra le diverse misure adottate dal Governo, le prime sono state indirizzate verso le moratorie bancarie e il posticipo di imposte e utenze, accompagnate al sostegno delle spese del personale tramite il ricorso alla Cig. Ovviamente queste misure non possono essere sufficienti a garantire la continuità del business, specie nei settori che devono rivedere la propria attività per adattarsi ad un mercato profondamente cambiato. E per affrontare la riconversione, il Governo ha definito un’ulteriore strategia di sostegno con il ‘Dl Liquidità’, recentemente convertito in legge e che ha come obiettivo il sostegno finanziario, e il ‘Dl Rilancio’, che per le imprese agisce con una forma di ristorno delle perdite del mese di aprile tramite una formula ‘a fondo perduto’ e un’azione più profonda e strategica di sostegno alla ricapitalizzazione e al riequilibrio della struttura finanziaria. Questa azione strategica avrà importantissimi effetti nel lungo periodo, ma difficilmente potrà intervenire in modo rapido sulle esigenze di liquidità delle imprese. La principale forma scelta per l’intervento di breve-medio periodo, con il Dl Liquidità, è stata quella indiretta di fornire garanzie a sostegno di un finanziamento erogato dal sistema bancario, con forme articolate in dipendenza della dimensione dell’impresa: rimandando alla lettura del Dl ‘Liquidità’ come convertito in legge per i necessari dettagli, focalizziamo qui la nostra attenzione sul fatto appunto che si tratta di debito e non di un sostegno a fondo perduto, anche se dilazionato nel tempo grazie ai preammortamenti. L’utilizzo di questi interventi da parte delle società pubbliche, già chiaro nella prima formulazione del Dl, è stato anche confermato in sede di conversione. Lo scopo ideale: finanziare la riconversione Le imprese oggi hanno una grande necessità di finanza per sostenere il circolante nel breve periodo, ed è naturale che il Dl ‘Liquidità’ venga visto in questo senso, come un sostegno indispensabile per mantenere l’equilibrio di tesoreria ed evitare tensioni finanziarie. In questo senso, esplicitamente l’art. 1 del Dl Liquidità indica il capitale circolante come obiettivo del Decreto, ed in sede di conversione la procedura di autocertificazione, sostitutiva della valutazione bancaria, ribadisce nella dichiarazione che i fondi saranno impiegati per ‘sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante’. Occorre però considerare anche la futura ripresa dell’attività, che probabilmente richiederà adattamenti operativi e quindi investimenti per un diverso modo di fare business. Lo scopo ideale di questo intervento è quindi quello di mettere a disposizione delle imprese le risorse finanziarie già a disposizione del sistema bancario grazie agli interventi comunitari, a partire da quelli della BCE, e che erano bloccati dalla necessità delle banche di assegnare tali fondi solo alle aziende con elevati livelli di merito di credito. La leva utilizzata è stata quella di ridurre il rischio del prestito mettendo a disposizione delle garanzie, per agevolare l’accettazione del prestito. Questa forma è coerente con una strategia di rilancio dell’attività che prevede una riconversione del business: la sfida attuale è infatti quella di rimodulare e adattare l’attività al diverso ambiente socioeconomico che si è venuto a creare. Ed è soprattutto in quest’ottica che il prestito deve essere visto, come aiuto ad un rilancio dell’attività e come tale ripagabile, originariamente in 6 anni di cui i primi 2 in preammortamento, ed in sede di conversione fino a 30 anni con 3 anni di preammortamento. Né troppo né poco Quindi occorre valutare quante risorse finanziarie, intese come finanziamenti di terzi ma anche come successivi aumenti di capitale, siano necessarie per affrontare una prima fase di riorganizzazione e una fase successiva di rilancio. Implicito in questo disegno è la definizione di una nuova business idea che deve concretizzarsi in un business plan mediante il quale comprendere quanto capitale occorre e quando lo si potrà restituire. Chiedere troppo poco, significa non avere le risorse per il rilancio in un momento in cui sarà difficile ottenere altra finanza. Chiedere troppo, viceversa, significa rischiare di non vedere accolta la richiesta, oppure di essere in futuro sovraindebitati. Questo elemento è fortemente collegato alle ipotesi di revisione e rimodulazione dei contratti concessione e di partenariato pubblico privato, che dovrà necessariamente veder coinvolti l’ente locale e le proprie entità partecipate. L’ente socio dovrà anche gestire le risorse finanziarie in un’ottica di gruppo, bilanciando le proprie disponibilità con le necessità o i surplus monetari delle aziende collegate, con un approccio dinamico e con un orizzonte temporale di almeno due-tre anni: questa strategia, che può trarre ispirazione dalle tecniche di cash-pooling, permette di ottimizzare la gestione finanziaria e la resilienza patrimoniale del sistema di cui fa parte. Il rischio: il sovraindebitamento Per ogni entità economica sarà quindi essenziale valutare quale sarà il rapporto di indebitamento post-intervento, in modo che sia possibile disporre dei flussi monetari necessari per restituire il prestito. In caso di sovraindebitamento, le future difficoltà dell’azienda ad onorare le obbligazioni potrebbero essere di difficile gestione: occorre operare da subito con una stretta programmazione finanziaria, che dovrebbe essere già iniziata con il controllo della tesoreria in queste settimane. Il rischio di un futuro restringimento del credito impone un’attenta valutazione della somma richiesta, perché poi potrebbe essere difficile modificare la struttura finanziaria impostata. Occorre quindi chiedere il giusto ammontare, né poco né troppo, e né troppo presto, quando ancora non si ha un piano, né tardi, finché esiste disponibilità di finanza. Il business plan come road map Il business plan è quindi la road map per immaginare la nuova attività e disporre di uno strumento flessibile con cui parlare con tutti gli stakeholders. Si tenga conto infatti che le garanzie offerte, fino al 90%, lasciano spazio ad ulteriori interventi come quello dei Confidi, ma anche di altri terzi o degli stessi soci. E sempre da un piano finanziario ben strutturato può nascere un’interlocuzione con fornitori, dipendenti e altre parti in causa, come ad esempio i locatori, senza contare che la moratoria disposta dai precedenti Dl ha anch’essa un termine, ed occorre pensare a come tornare ad una normalità operativa da ottobre. L’analisi puntuale dei flussi di cassa perciò deve diventare elemento fondamentale della gestione, da cui non è più possibile prescindere: tutto questo, ricordiamo, è già previsto nella richiesta dell’adeguato assetto amministrativo e contabile come previsto dall’art. 2086 del Codice civile, ed è ora più che mai esigenza imprescindibile del lavoro dell’imprenditore. Per la ripresa: il project financing Occorre poi immaginare il futuro dell’economia per cercare di predisporre già da oggi gli strumenti per agganciare la ripresa economica che gli stimoli pubblici stanno preparando. E uno dei vettori per la ripresa sarà certamente un programma di investimenti pubblici, che disporranno certamente di importanti risorse ma che al tempo stesso si scontreranno con gli equilibri finanziari, sia dello Stato, sia delle stesse imprese. Il nostro debito pubblico, già elevato prima della crisi, è destinato ad aumentare e non è realistico sperare in un piano di investimenti totalmente a carico dello Stato: e le imprese, che probabilmente usciranno indebitate dalla crisi, non potranno facilmente accedere ad ulteriore credito bancario a causa del peggioramento dei loro ratios patrimoniali. Una soluzione già esiste nel nostro ordinamento ed è il project financing o finanza di progetto. L’istituto, previsto e normato dal legislatore, ha avuto un interessante sviluppo negli ultimi anni, e si presta perfettamente alle prevedibili esigenze di sostegno all’auspicato piano di investimenti pubblici da utilizzare come volano alla ripresa del sistema economico. Proprio le caratteristiche di essere un investimento che in modo autonomo utilizza i propri flussi di cassa per ripagare l’investimento iniziale, che può essere a questo punto dotato di un ‘rating’ autonomo ed essere finanziato dal sistema bancario in modo indipendente dal merito di credito dell’impresa appaltatrice, potrebbe risolvere le eventuali difficoltà di imprese indebitate ad ottenere commesse pubbliche. Per il settore pubblico esistono anche altre forme di Partenariato Pubblico Privato (PPP), già note, che possono essere utilizzate per il finanziamento di progetti a prescindere dal merito di credito dell’impresa e senza creare debito pubblico: anche in questo caso, si verifica che il progetto generi risorse finanziarie in grado di ripagare l’investimento ponendo quindi attenzione all’analisi dei flussi monetari e al rischio di performance. L’equilibrio economico finanziario costituisce un requisito fondamentale per la configurazione del contratto di PPP. A tal fine, è necessario definire in modo analitico e preciso all’interno del contratto le condizioni di equilibrio economico finanziario, sia per dimostrare che è effettivamente raggiunto, sia per le eventuali vicissitudini contrattuali che potrebbero richiedere di ripristinare le iniziali condizioni di equilibrio. I flussi di cassa come obiettivo di pianificazione e controllo In conclusione, per garantire la continuità aziendale, anche per le società pubbliche occorre porsi come obiettivo principale dell’attività economica la gestione dei flussi di cassa: – immediatamente, per garantire nel breve l’equilibrio di tesoreria, anche utilizzando gli strumenti previsti dal Dl ‘Cura Italia’ e dai successivi decreti; – nel breve, per definire la quantità corretta di risorse da prendere a prestito, utilizzando le garanzie messe a disposizione del ‘Dl Liquidità’ e gli altri strumenti di riequilibrio patrimoniale contenuti nel ‘Dls Rilancio’, senza rischiare sovraindebitamento; – e prospetticamente, per mantenere una gestione finanziaria equilibrata ed accedere più facilmente al piano di investimenti pubblici. La realizzazione di budget finanziari e di piani industriali completi dell’analisi dei flussi monetari diviene, quindi: – il requisito fondamentale per la continuità aziendale; – lo strumento principale degli amministratori delle società pubbliche per il mantenimento e la ripresa del business; – l’elemento su cui i soci pubblici devono concentrare la loro attenzione nell’attività di indirizzo e di controllo delle proprie società partecipate.

Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.

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