Partecipate, perdite a 1,2 miliardi

Fonte: Il Sole 24 Ore

«La buona notizia è che stiamo preparando la razionalizzazione, la brutta è che le società pubbliche sono almeno 10mila, e non le 8mila censite finora, e perdono 1,2 miliardi, a cui si aggiungono i costi nascosti da contratti di servizio gonfiati e quelli a carico dei cittadini per tariffe eccessive». Non fanno sconti le riflessioni del commissario straordinario Carlo Cottarelli sul prossimo capitolo della spending review, quello che a luglio proporrà la cura per le società partecipate dagli enti locali.

Una cura, ha sottolineato ieri Cottarelli intervenendo all’assemblea annuale di Federutility, che sarà differenziata per le aziende di servizi pubblici locali e per le altre realtà, dalle strumentali (cioè quelle che lavorano direttamente per gli enti proprietari) alle aziende che non erogano servizi «di rilevanza economica». «Quello delle partecipazioni locali – sottolinea infatti Cottarelli – è un mondo molto differenziato: Ci sono le strumentali, spesso a rischio abuso perché costruite solo per creare occupazione, e ci sono i servizi pubblici locali, che rappresentano il 20% delle partecipate ma raccolgono il 60% del fatturato». Numeri in linea con quelli appena diffusi dalla Corte dei conti e richiamati dal presidente uscente di Federutility Roberto Bazzano, che ieri ha lasciato il vertice al presidente di A2a Giovanni Valotti. «Le aziende di servizi pubblici – ha ricordato Bazzano – sono 1.100, attive nei settori di energia, gas, acqua e rifiuti, e generano un fatturato da 40 miliardi e 604 milioni di utili per gli enti locali».

Se per le strumentali e mini-aziende locali l’obiettivo rimane un drastico alleggerimento del numero di realtà e del loro peso sui conti pubblici, per i servizi pubblici la parola d’ordine è quella dell’«aggregazione», tema su cui la sintonia fra il commissario alla spending review e il Governo sembra perfetta. «Le aziende di punta – spiega il viceministro all’Economia Enrico Morando – sono state spesso spremute dagli enti proprietari in cerca di dividendi per far fronte al Patto di stabilità, e il risultato è una sottocapitalizzazione e dimensioni inferiori rispetto ai modelli internazionali». Se questo il problema, la soluzione va cercata secondo Morando in «un sistema di incentivi e disincentivi che spinga verso modelli di public company e aiuti il capitale di rischio».

Nel mosaico della finanza locale, in cui ogni tassello è collegato a un altro, una parte della strategia deve passare anche «dal cambio radicale di regole sul Patto di stabilità, almeno per i Comuni che hanno capacità fiscale adeguata». L’idea è quella di puntare sull’obbligo del pareggio di bilancio e su una golden rule che lasci più margini agli investimenti. E sull’idea delle aggregazioni c’è da registrare la convergenza, non scontata, da parte degli enti locali: «Avremo molte resistenze anche al nostro interno – spiega Enzo Bianco, sindaco di Catania e membro dell’ufficio di presidenza Anci – ma la strada è quella anche per le amministrazioni, anche perché non possiamo più reggere un Paese con 8.100 Comuni. Qualche incentivo ha aiutato Unioni e fusioni, e bisogna proseguire anche sulle aziende».

L’idea del “doppio binario” torna anche per le regole sulla gestione del personale, appena ritoccate dal decreto di riforma della Pubblica amministrazione che però sul punto sembra aver bisogno di nuovi interventi. «Per chi ha fatto gare e opera sul mercato – riflette Claudio De Vincenti, viceministro allo Sviluppo economico – non ci dovrebbero essere vincoli particolari, perché è il mercato stesso a distinguere i soggetti efficienti da quelli che non lo sono; le società in house e le strumentali devono invece avere regole di finanza pubblica chiare e in linea con quelle delle Pubbliche amministrazioni di riferimento». Oggi, alla luce del testo definitivo del decreto sulla Pubblica amministrazione, agli enti controllanti si chiede di «coordinare le politiche del personale» con le partecipate, ma qualche ritocco potrebbe già arrivare con la conversione in legge.

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