Partecipate, crisi ad hoc 

Anche per le società pubbliche la nuova definizione di crisi introdotta dall’art. 2, lett. a) del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (dlgs 14/2019, Ccii) ha rilevanza, poiché le misure perviste dall’art. 14 del c.d. decreto Madia del 2016.

Italiaoggi
23 Giugno 2023
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di MARCELLO POLLIO E FILIPPO PONGIGLIONE (ItaliaOggi – 23/06/2023) – In collaborazione con Mimesi s.r.l
Documento di analisi dell’Osservatorio del Cndcec sugli enti pubblici
Definizioni del Codice valide pure nel pubblico
Anche per le società pubbliche la nuova definizione di crisi introdotta dall’art. 2, lett. a) del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (dlgs 14/2019, Ccii) ha rilevanza, poiché le misure perviste dall’art. 14 del c.d. decreto Madia del 2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, dlgs 175/2016, Tusp) devono essere applicate avuto riguardo alla normativa generale del Ccii entrato in vigore a luglio 2022. La materia, assai complessa e articolata, ha trovato una puntuale analisi nel documento denominato “La crisi nelle società pubbliche, tra Tusp e Ccii”, pubblicato ieri dall’Osservatorio enti pubblici e società partecipate del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti (Cndcec), presieduto da Elbano De Nuccio. Con il documento, come sottolineato dal coordinatore scientifico, Davide Di Russo, il Cndcec ha inteso risolvere alcune questioni poste dalla normativa speciale del TUSP in materia di crisi e dalla sua interazione con la disciplina generale del Ccii. Anche nelle società a controllo pubblico, a cui si applica la normativa speciale, è solo con il ricorrere di uno stato di crisi come ora come definito nel Ccii, che sorge il dovere giuridico di adottare provvedimenti necessari (art. 14, Tusp). In presenza di stati di difficoltà anteriori, e quindi in situazioni di mero rischio di crisi, sono invece prospettabili solo buone pratiche, eventualmente sindacabili alla luce della business judgment rule. Il documento, partendo dalla constatazione che il rapporto di specie a genere che lega Tusp e Ccii giunge alla conclusione per cui nelle società a controllo pubblico, destinatarie della disciplina speciale di cui agli artt. 6, co. 2 e 14, co. 2 e ss. del Tusp, il Programma di valutazione del rischio di crisi aziendale è suscettibile di integrare quell’assetto adeguato che oggi l’art. 2086 cod. civ. richiede per tutte le società. Il Programma prescritto dall’art. 6, co. 2 del Testo unico, quindi, è lo strumento organizzativo con il quale la società a controllo pubblico struttura e regola il monitoraggio del rischio di crisi (vale a dire la probabilità che la società venga a trovarsi nello stato così definito dal Codice della crisi), a partire dalla matrice comune ricostruita alla luce dell’art. 3, co. 3 e 4 del Ccii e salva l’opportunità, la cui valutazione è rimessa alla discrezionalità dell’organo amministrativo, di introdurre elementi di specificità alla luce delle peculiarità della singola realtà societaria. Poiché oggi la nozione di crisi è ancorata a un unico indicatore, ovvero la non sostenibilità del debito a dodici mesi, in luogo dell’originario rinvio alla pluralità di indicatori e indici di cui alla prima versione dell’art. 13 del Ccii, il monitoraggio del rischio va calibrato prevalentemente su detto indicatore.
* Articolo integrale pubblicato su Italiaoggi del 23 giugno 2023.

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