Non esiste alcun automatismo tra condanna penale e danno all’immagine

Pur in presenza di una condanna penale del dipendente pubblico per un reato contro la pubblica amministrazione, il danno all’immagine deve essere provato dal procuratore, non esistendo alcun automatismo.

17 Maggio 2021
Modifica zoom
100%

Pur in presenza di una condanna penale del dipendente pubblico per un reato contro la pubblica amministrazione, il danno all’immagine deve essere provato dal procuratore, non esistendo alcun automatismo. Queste sono le conclusioni della Corte dei conti del Piemonte (sentenza n.164/2021) che ha assolto dal danno all’immagine un dipendente oggetto di condanna definitiva per peculato, ma in assenza della dimostrazione da parte della Procura contabile della lesione all’immagine della pubblica amministrazione che, come nel caso di specie, il fatto non ha avuto alcuna risonanza mediatica né una divulgazione all’interno dell’Amministrazione che valga a ledere gli interessi, non patrimoniali, alla propria immagine, di cui essa è portatrice.

Il fatto

Un dipendente, sub agente contabile di un ente locale, è stato condannato in via definitiva per il reato di peculato, avendo sottratto, in qualità di sub agente contabile, diritti di segreteria per oltre 12.000 euro nell’arco temporale di osservazione di circa cinque anni. A fronte del reato divenuto definitivo, la Procura contabile ha citato il dipendente per il pagamento del danno all’immagine stimato in 15.000 euro.

La difesa del convenuto

Oltre ad alcune questioni di rito, nel merito il dipendente si difende precisando come la Procura non si sarebbe attenuta ai principi elaborati dalla giurisprudenza in materia: quello oggettivo, riferentesi alla natura e alle modalità del fatto e all’entità dell’eventuale arricchimento, quello soggettivo, attinente al ruolo e alla posizione ricoperta nell’amministrazione, quello sociale, che valuta l’impatto del fatto sui consociati, all’esterno e all’interno della p.a. Il convenuto si duole del fatto che la Procura avrebbe invocato la sua condanna per danno all’immagine in modo automatico, facendola discendere dalla mera violazione dei doveri di servizio e dalla sanzione penale, a prescindere dalla dimostrazione di una effettiva lesione del bene tutelato.

La sentenza

L’eccezione evidenziata dal convenuto deve essere accolta nel caso di specie. Infatti, è innegabile che la giurisprudenza contabile abbia indicato quale causa della lesione dell’immagine della pubblica amministrazione, cui il danno da addebitare al pubblico dipendente tende a ristorare tale lesione, operi su un duplice piano, interno ed esterno. All’esterno, per la diminuita considerazione nell’opinione pubblica o in quei settori in cui l’amministrazione danneggiata operi, e all’interno, per l’incidenza negativa sull’agire delle persone fisiche che compongono i propri organi. Al fine di configurare la lesione dell’immagine, pertanto, non è indispensabile la presenza del c.d. clamor fori, ovvero la divulgazione della notizia del fatto a mezzo della stampa poiché il clamor può essere rappresentato anche dalla divulgazione all’interno dell’Amministrazione, senza alcuna diffusione nei mass media. Nel caso di specie, tuttavia, la Procura non ha fornito alcuna prova dei presupposti del danno azionato. È restata invero indimostrata non solo alcuna diffusione mediatica della vicenda, nazionale o locale, ma anche una divulgazione all’interno dell’Amministrazione che valga a ledere gli interessi, non patrimoniali, alla propria immagine, di cui essa è portatrice. In altri termini, per aversi danno risarcibile il comportamento illegittimo deve superare la c.d. soglia minima di lesione del bene tutelato, altrimenti si rischierebbe di sanzionare la mera violazione dei doveri di servizio, trasformando, di fatto, il danno all’immagine in una pena accessoria.

Inoltre, evidenzia il Collegio contabile, nel caso di specie il convenuto, per i fatti in questione, ha già subito un procedimento disciplinare, uno penale e uno contabile di responsabilità che ha portato all’integrale recupero degli ammanchi.

In definitiva, non essendo stata provata l’esistenza delle condizioni necessarie per la configurabilità della responsabilità per danno all’immagine, il convenuto deve essere assolto.

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento