Niente truffa se non c’è il profitto

ItaliaOggi
9 Giugno 2021
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CASSAZIONE SU UN CASO RIGUARDANTE UN SINDACO E UN RUP
Le certificazioni amministrative non veritiere, rese dal sindaco e dal responsabile del procedimento (Rup), che hanno permesso mediante i citati raggiri di ottenere l’erogazione del finanziamento da parte del ministero non possono rientrare nel reato di truffa aggravata. Infatti, per la qualificazione del reato è fondamentale che vi sia stato un ingiusto profitto «per sé o per altri» dove, una volta escluso il profitto personale, per altri sicuramente non può rientrare l’ente locale, stante l’immedesimazione organica che lega l’amministratore o il dipendente pubblico all’ente. Con queste conclusioni la Cassazione (sentenza 20996/2021) ha riformato la sentenza cautelare di confisca, fino a concorrenza delle somme illecitamente ricevute dal comune, da parte del tribunale nei confronti del sindaco e del funzionario.
La vicenda. Al fine di acquisire il finanziamento relativo alla gestione del servizio pubblico di «bike sharing», il sindaco e il responsabile del procedimento amministrativo hanno formato false attestazioni amministrative sull’effettivo inizio dei lavori e sulla necessità di prorogare il termine per il completamento. Le citate certificazioni hanno permesso all’ente di ricevere il finanziamento inducendo in errore il ministero. Il tribunale in sede di appello, sulla misura cautelare di sequestro per equivalente della somma ricevuta dal comune indebitamente, estendeva la garanzia anche sui beni del sindaco e del Rup fino a concorrenza della somma ricevuta illecitamente.
A dire del tribunale gli artifici amministrativi, adottati dagli organi rappresentativi dell’ente territoriale, atti a raggirare il ministero competente per l’erogazione del finanziamento, erano stati provati. In questo caso il profitto acquisito dall’ente territoriale era da considerare ingiusto in ragione della falsa attestazione del rispetto delle condizioni previste dal finanziamento. Pertanto, il sequestro è stato disposto, in via diretta nei confronti dell’ente territoriale, beneficiario dell’attività svolta dai suoi organi, e per equivalente nei confronti degli stessi soggetti autori delle condotte fraudolente. Il caso è giunto in Cassazione su ricorso del sindaco e del Rup in considerazione dell’errore commesso dal tribunale nella qualificazione del reato di truffa aggravata. La riforma della sentenza.
Il ricorso è fondato in considerazione dell’evidente errore contenuto nella sentenza per aver escluso che, nella fattispecie, potesse operare il principio della immedesimazione organica. Infatti, il fatto commesso dal soggetto che esprime la volontà della pubblica amministrazione e la impegna nei confronti dei terzi è direttamente imputabile all’ente territoriale, con la conseguenza che l’ente non può rientrare nell’ingiusto profitto quale terzo ovvero considerarsi «altro» rispetto all’agente, con il quale, anzi, si immedesima. Né l’ente territoriale può assumere «responsabilità amministrativa da reato», in forma diretta o riflessa (art.1, dlgs n.231/2011). Pertanto, non essendoci stato un profitto personale in capo agli amministratori né nei confronti di «altri», non esiste alcun reato di truffa aggravata. La sentenza, quindi, va cassata senza rinvio con conseguente restituzione delle somme in sequestro operate nei confronti del sindaco e del Rup.
Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.

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