Il dirigente che abbia superato il concorso pubblico nel ruolo unico della dirigenza, non vanta alcun diritto soggettivo nel ricoprire l’incarico di Comandante della Polizia locale, essendo nella discrezionalità dell’ente sia la rotazione degli incarichi, sia l’eventuale ricorso ad incarichi esterni. Infatti, una volta accertato che il regolamento comunale autorizzi il ricorso a conferire incarichi esterni, in caso di vacanza del posto in organico, la valutazione sull’opportunità di ricorrere alla mobilità interna ovvero all’esterno è discrezionale e insindacabile ove l’atto di conferimento non presenti aspetti d’illiceità o d’illegittimità. Queste sono le conclusioni della Corte di Cassazione (sentenza n.6548/2019).
Il caso
Un dirigente interno ha impugnato la scelta dell’ente di ricorrere, per la copertura de posto di dirigente Comandante della Polizia Locale, all’esterno anziché utilizzare le professionalità dei dirigenti interni. Proprio a fronte dell’affidamento dell’incarico all’esterno, il dirigente interno è ricorso al giudice del lavoro al fine di far condannare il Comune alla reintegra in suo favore nella predetta funzione e al versamento di un congruo risarcimento per l’ingiusto danno patrimoniale e non patrimoniale subito in conseguenza della pretermissione. Sia il Tribunale di primo grado, sia la Corte di Appello hanno rigettato il ricorso del dirigente ritenendo che l’ente locale avesse operato la scelta dell’affidamento dell’incarico ad un esterno, in luogo di esercitare lo strumento della mobilità interna, nel rispetto della discrezionalità alla stessa attribuita dalla legge, ritenendo adempiuto l’obbligo di motivazione. In tale contesto, il ricorrente non poteva vantare alcun diritto soggettivo a ricoprire la funzione di dirigente Comandante della Polizia Locale, essendo risultato vincitore di un concorso a posti appartenenti al ruolo unico della dirigenza comunale, con la conseguenza che qualifica dirigenziale esprime soltanto l’idoneità professionale del dipendente a svolgere determinate mansioni e non una particolare posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera, sì che, in caso di passaggio da un incarico ad un altro, non sussiste il diritto del dirigente a conservare l’ufficio in precedenza ricoperto, ma solo il diritto a conservare le funzioni dirigenziali e che tali principi valgono anche per il dirigente locale. Questi principi sono, inoltre, applicabili anche nell’ambito della Polizia Locale non potendosi, per tale area, giustificare una deroga al principio di rotazione degli incarichi dirigenziali, né tale specificità emerge dal regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi del Comune. Secondo la Corte di Appello, il dirigente ricorrente non aveva provato, d’altra parte, né allegato in quale modo la scelta dell’amministrazione comunale fosse in contrasto con il programma e gli obiettivi da realizzare, né aveva spiegato le ragioni per le quali le attitudini e le capacità professionali del dirigente designato fossero meno qualificanti di quelle possedute dall’appellante pretermesso. Infine, il fatto che il dirigente avesse ricoperto il medesimo incarico non costituisce motivo di preferenza, atteso che è interesse dell’amministrazione evitare la cristallizzazione degli incarichi favorendo lo scambio di esperienze, attuando in tal modo il principio di rotazione degli incarichi dirigenziali. Sul punto, anzi, il regolamento degli uffici è chiaro nell’indicare che in caso di rotazione degli incarichi si possa ricorrere ad affidamenti esterni senza svolgere la previa verifica della sussistenza all’interno della professionalità richiesta per il conferimento dell’incarico, quale elemento ulteriore rispetto ai requisiti della qualifica da ricoprire.
Il dirigente ricorre in Cassazione, avverso la decisione del rigetto della Corte di Appello, precisando gli errori in cui sarebbero incorsi i giudici di seconda istanza per non aver adeguatamente considerato che il ricorso da parte dell’ente ad un incarico esterno potrebbe avvenire solo a seguito di esperimento della mobilità interna, e solo in assenza d’idonea professionalità presso l’Ente, che il ricorrente avrebbe posseduto, avendo svolto le funzioni di responsabile della Polizia municipale per oltre quindici anni. Inoltre, il principio della rotazione degli incarichi dirigenziali avrebbe dovuto ritenersi applicabile limitatamente ai soli dirigenti interni al Comune e non a tutti i dirigenti pubblici.
La conferma del giudice di legittimità
La Cassazione è intervenuta in diverse occasioni sugli incarichi dirigenziali affidati dagli enti locali, precisando che il dirigente il cui incarico è venuto a scadenza non ha alcun diritto soggettivo ad ottenerne il rinnovo, in quanto l’eliminazione ad opera della legge n.145 del 2002 della locuzione, presente nell’originaria formulazione dell’art. 19, co.1 del d.lgs. n.165 del 2001, secondo cui – di norma – opera la rotazione degli incarichi, non incide sulla posizione soggettiva del dirigente già designato, ma opera in funzione delle scelte che la Pubblica amministrazione deve compiere, le quali devono conformarsi esclusivamente ai canoni di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost. Pertanto, la qualifica dirigenziale non coincide con l’appartenenza ad una data posizione lavorativa inserita nell’ambito di una determinata carriera avente ad oggetto lo svolgimento di specifiche mansioni, ma indica esclusivamente l’idoneità professionale del dipendente a svolgerle concretamente per effetto del conferimento, a termine, di un incarico dirigenziale. Seguendo tali principi, il dirigente pubblico non può vantare un diritto soggettivo al mantenimento dello proprio incarico dirigenziale, tanto che il legislatore ha stabilito che l’art. 2103 cod. civ. non trova applicazione nel caso di passaggio a incarichi dirigenziali diversi. In altri termini, alla qualifica dirigenziale corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione d’incarichi dirigenziali di qualunque tipo e che ciò non consente di ritenere applicabile l’art. 2103 cod. civ., risultando incompatibile con lo statuto del dirigente pubblico la regola che ai fini dell’affidamento dell’incarico dirigenziale debba essere conferito valore assorbente al rispetto delle specifiche professionalità acquisite dal dirigente. Il fatto che il ricorrente rivendica l’opportunità dell’assegnazione del servizio in capo a sé, atteso il lungo periodo durante il quale aveva diretto l’Ufficio di Polizia Municipale, quale prova del possesso di specifiche competenze non coglie in modo esatto la motivazione della sentenza, che, nel fare corretta applicazione dei principi della giurisprudenza di legittimità in tema di conferimento dell’incarico dirigenziale, ha ritenuto legittima la motivazione del Comune a fondamento della mancata conferma del ricorrente nell’incarico in scadenza e dell’affidamento dello stesso a un soggetto esterno. D’altra parte, il ricorrente non può dolersi di essere rimasto privo dell’incarico, essendo invece stato assegnato ad altre posizioni dirigenziali, mentre la scelta operata dall’ente di ricorrere ad un incarico esterno è, inoltre, coerente in quanto il ruolo di Comandante della Polizia municipale rientra nello speciale legame intuitu personae che sottopone il Comandante soltanto al Sindaco e che lo pone al di fuori della più ampia struttura organizzativa comunale.
In conclusione per i giudici di Piazza Cavour il ricorso deve essere rigettato con addebito al ricorrente anche delle spese del giudizio di legittimità.
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