Nessun termine perentorio per l’approvazione del rendiconto se il Comune non è inerte

La questione giuridica riguarda se il termine dei 20 giorni abbia natura perentoria o ordinatoria. Per il TAR e, successivamente per il Consiglio di Stato il termine imposto dal legislatore ha natura sollecitatoria e, solo l’inerzia del Comune rende il citato termine immediatamente applicabile.

8 Luglio 2020
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L’art. 141, comma 2, del Tuel ha previsto che “… quando il Consiglio non abbia approvato nei termini di legge lo schema di bilancio predisposto dalla Giunta, l’organo regionale di controllo assegna al Consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a 20 giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all’amministrazione inadempiente. Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al prefetto che inizia la procedura per lo scioglimento del Consiglio“. La questione giuridica riguarda se il termine dei 20 giorni abbia natura perentoria o ordinatoria. Per il TAR e, successivamente per il Consiglio di Stato (sentenza n.4288/2020), il termine imposto dal legislatore ha natura sollecitatoria e, solo l’inerzia del Comune rende il citato termine immediatamente applicabile.

La vicenda

Il sindaco di un Comune ha chiesto, sulla scorta della disciplina regolamentare dell’ente, la convocazione del Consiglio comunale e la surroga del consigliere comunale di maggioranza, dimessosi. Il Consiglio comunale è stato, dunque, convocato mediante il ricorso alla procedura d’urgenza, ai sensi del Regolamento per il funzionamento del Consiglio comunale, in prima convocazione, e successivamente in seconda convocazione. In occasione dell’adunanza il Consiglio comunale non ha approvato il rendiconto. Su sollecitazione del Sindaco il Presidente del Consiglio comunale, ha convocato il Consiglio al fine di procedere alla surroga del Consigliere Comunale, dimissionario, e relativa convalida del nuovo eletto, ma non anche per l’approvazione del rendiconto del 2018, nonostante la diffida del Prefetto ex artt. 227, comma 2 bis, e 141, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000. In considerazione della mancata approvazione del consuntivo, nonostante la diffida, il Prefetto ha nominato un commissario ad acta con l’incarico di provvedere all’adozione del menzionato documento contabile, con successiva sospensione i tutti gli organi del Comune, con contestuale nomina del Commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione dell’ente, in attesa del decreto di scioglimento dell’organo consiliare ai sensi dell’art. 141, commi 1, lett. c), e 2, d.lgs. n. 267 del 2000.

Il Sindaco ha proposto ricorso davanti al TAR avverso tutti gli atti in pregiudizio allo scioglimento del Consiglio comunale, della nomina del commissario ad acta e del successivo decreto del Presidente della Repubblica che ha sancito lo scioglimento definitivo del Consiglio.

I giudici amministrativi di primo grado hanno accolto il ricorso del Sindaco ed annullato tutti gli atti pregiudizievoli allo scioglimento del Consiglio. Per quel che qui rileva, è stato sostenuto che il Presidente del Consiglio comunale avrebbe illegittimamente omesso di convocare l’organo consiliare, al fine dell’approvazione del rendiconto di gestione, con la conseguenza che il Prefetto avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 39, d.lgs. n. 267 del 2000, esercitare il potere sostitutivo, convocando egli stesso l’organo consiliare e provvedere all’approvazione del documento contabile. L’errore del Prefetto, pertanto, è stato quello di qualificare come perentorio il termine di cui all’art. 141, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000, non tenendo conto delle richieste del sindaco.

Avverso la sentenza ha proposto appello il Presidente del Consiglio comunale e, con appello incidentale anche il Ministero dell’Interno, sostenendo che avrebbe errato il TAR nel considerare il termine di cui all’art. 141, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000 puramente sollecitatorio invece che perentorio. In quest’ultimo caso, infatti, il Prefetto avrebbe correttamente fatto ricorso alla extrema ratio del commissariamento e dell’avvio del procedimento di scioglimento del Consiglio. Inoltre, a dire del Ministero dell’Interno, il Prefetto non avrebbe potuto esercitare il potere sostitutivo, così come richiesto dal Sindaco per l’approvazione del documento contabile, dal momento che sarebbe maturato il termine, asseritamente perentorio, prescritto con la diffida prefettizia.

La conferma del Consiglio di Stato

In merito al termine perentorio dell’art.141, comma 2, del Tuel il Collegio amministrativo di appello conferma sua natura ordinatoria e non perentoria, purché non vi sia inerzia da parte dell’ente nell’approvazione del documento contabile.

Infatti, l’art. 141, comma 2, Tuel – applicabile in virtù del richiamo di cui al successivo art. 227, comma 2 bis – è stata interpretata da una costante giurisprudenza del Consiglio di Stato nel senso di introdurre un termine acceleratorio, che non è “assistito da alcuna qualificazione di perentorietà” (Cons. St., sez. V, 25 ottobre 2017, n. 4917). É infatti perentorio solo il termine espressamente indicato come tale da una previsione normativa. In altri termini, la legge non collega alcuna immediata e concreta conseguenza dissolutoria, ma la semplice apertura di un procedimento sollecitatorio, che può bensì condurre all’adozione della grave misura dello scioglimento dell’organo, ma il cui presupposto non è la mera inosservanza del termine suddetto bensì la constata inadempienza ad una intimazione puntuale e ultimativa dell’organo competente, che attesta l’impossibilità, o la volontà del Consiglio di non approvare il bilancio.      

Anche la seconda doglianza sull’obbligo di dover procedere da parte del Prefetto stante la perentorietà del termine del testo unico degli enti locali, è prova di fondamento. Infatti, stante la non perentorietà del termine, il Prefetto avrebbe dovuto esercitare il potere sostitutivo, come richiesto dal Sindaco, e convocare il Consiglio comunale, inserendo, all’ordine del giorno di un’adunanza da convocare, l’approvazione del rendiconto.

In conclusione l’appello incidentale del Ministero dell’Interno deve essere respinto.

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