Il codice disciplinare dell’ente che sottopone anche gli avvocati pubblici alla presenza in servizio e al rispetto dell’orario, è da considerare illegittimo. Queste sono le conclusioni del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio contenute nella sentenza 14 giugno 2019 n.7736.
L’oggetto di impugnazione
Gli avvocati di un ente pubblico hanno impugnato il codice disciplinare approvato con determinazione con il quale, a seguito delle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 150 del 2009, è stato unilateralmente aggiornato il codice disciplinare anche degli avvocati interni sia con riguardo ai presupposti ed alle singole fattispecie sia con riguardo alle relative sanzioni ed alle connesse procedure e, ciò anche con riguardo a determinati obblighi di servizio come l’orario di presenza in ufficio. In particolare gli avvocati hanno lamentano l’impossibilità al rispetto degli orari di servizio come gli altri dipendenti pubblici in considerazione del loro particolare servizio professionale.
Le indicazioni del Collegio Amministrativo
Ricordano i giudici amministrativi come prima del d.lgs.150/09 la materia delle sanzioni disciplinari era demandata alla sola contrattazione collettiva, mentre dalla data di entrata in vigore del citato decreto buona parte della disciplina è prevista direttamente dalla normativa primaria e per la parte non coperta dalla legislazione e nei limiti da questa previsti dalla contrattazione collettiva. In altri termini, la materie delle sanzioni disciplinari sono definiti o dalla legge e in via residuale dalla contrattazione collettiva, rendendo illegittime le determinazioni assunte nella materia da parte degli enti in via unilaterale.
Infatti, il giudice di legittimità ha da sempre escluso il potere del datore di lavoro pubblico di introdurre deroghe, anche a favore dei dipendenti, all’assetto definito in sede di contrattazione collettiva. Si tratta infatti di uno dei principi cardine della riforma consistita nella “contrattualizzazione” del rapporto di lavoro pubblico, espresso in numerose disposizioni del suo “statuto” (d.lg. 165/2001)”, secondo cui “i rapporti di lavoro sono regolati esclusivamente dai contratti collettivi e dalle leggi sul rapporto di lavoro privato”. Ed ancora che “l’atto di deroga, anche “in melius”, alle disposizioni del contratto collettivo sarebbe quindi affetto in ogni caso da nullità, sia quale atto negoziale, per violazione di norma imperativa, sia quale atto amministrativo, perché viziato da difetto assoluto di attribuzione ai sensi della l. 241 del 1990, art. 21 septies”. E ciò in quanto “l’ordinamento esclude che l’amministrazione possa intervenire con atti autoritativi nelle materie demandate alla contrattazione collettiva” oppure alla legge (cfr. Cass. Civile, sez. lav., 25 febbraio 2011, n. 4653; Cass. Civile, sez. un., 14 ottobre 2009, n. 21744).
Ora, precisano i giudici amministrativi, in tema i obblighi di orario in capo ai singoli professionisti degli enti pubblici, è stato tra l’altro affermato che “l’attività degli avvocati, anche se pubblici dipendenti, è soggetta a scadenze e ritmi di lavoro che sfugge alla potestà organizzativa delle Amministrazioni, dipendendo dalle esigenze dei processi in corso nei quali essi sono impegnati, l’esercizio dell’attività di avvocato pubblico comportando, infatti, operazioni materiali (precipuamente procuratorie) ed intellettuali (esemplificatamente studio della controversia e predisposizione delle difese) necessitate dai tempi delle scadenze processuali e proiettate all’esterno, direttamente ascrivibili alla responsabilità del professionista che le svolge. Ne deriva che il principio da tenere fermo è che gli Avvocati dipendenti da Enti Pubblici, nell’esercizio delle funzioni di rappresentanza e difesa giudiziale e stragiudiziale dell’ Amministrazione, in attuazione del mandato in tal senso ricevuto, sono dei professionisti i quali non possono essere costretti ad un’osservanza rigida e rigorosa dell’orario di lavoro alla stessa stregua degli altri dipendenti, senza tenere conto della peculiarità dell’attività da loro svolta” (cfr., ex multis, Tribunale Chieti, sez. lav., 12 luglio 2018, n. 250).
Conclusioni
Il Collegio amministrativo di primo grado, pertanto, conclude con l’illegittimità dell’atto unilaterale adottato dall’ente.
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