L’impresa, che abbia eseguito i lavori, potrà vedersi accolta l’azione per ingiustificato arricchimento tutte le volte in cui essa dimostri l’esistenza del proprio impoverimento e dl correlato arricchimento dell’ente, a prescindere dall’esistenza di un gradimento implicito o esplicito da parte dell’amministrazione, mentre dovrà essere rigettata ove l’ente convenuto dimostri di aver rifiutato o di non aver potuto rifiutare, a cagione dell’imposizione del privato, l’opera conseguente. La prova, pertanto, non concerne più la valutazione dell’utilità bensì il giudizio contrario dell’amministrazione e, dunque, trattandosi di prova contraria, la stessa deve essere posta a carico dell’ente. Tuttavia, secondo la Cassazione (Ordinanza n.19958/2020), in mancanza della sottoscrizione del contratto, per aver la società realizzato le opere su semplice raccomandazioni verbali di amministratoti o funzionari, il privato non è abilitato ad esperire l’azione di indebito arricchimento non tanto per mancanza del requisito, ormai non più necessario del riconoscimento dell’utilità dell’opera da parte della P.A., quanto piuttosto per mancanza dei presupposti di residualità e sussidiarietà dell’azione, di cui all’art. 2041 cc, in quanto l’impresa doveva piuttosto esperire l’azione nei confronti dei funzionari che avevano impartito disposizioni nulle.
La vicenda
Una società che aveva realizzato maggiori opere pubbliche di interesse di un ente locale (maggiori punti luce), è ricorsa davanti al giudice civile per vedersi riconoscere gli importi non corrisposti. Il Tribunale di primo grado ha respinto la domanda del pagamento del corrispettivo per i lavori extracontratto realizzati, in assenza della forma scritta richiesta ad substantiam, ma ha accolto la domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 cc per la medesima causale. La Corte di appello, a parziale modifica della sentenza, ha rigettato anche la domanda di ingiustificato arricchimento, perché mancante il riconoscimento dell’utilità dell’opera. La società ha, quindi, proposto ricorso in Cassazione evidenziando come, il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 cod. civ. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, esso potendo, invece, eccepire e provare che l’arricchimento non fu voluto o non fu consapevole, e che si trattò, quindi, di “arricchimento imposto”.
La decisione della Cassazione
Il giudici di legittimità hanno stabilito che, l’azione per ingiustificato arricchimento, dovrà essere accolta tutte le volte in cui il privato dimostri l’esistenza del proprio, impoverimento e dell’arricchimento dell’ente, a prescindere dall’esistenza di un gradimento implicito o esplicito da parte dell’amministrazione, mentre dovrà essere rigettata ove l’ente convenuto dimostri di aver rifiutato o di non aver potuto rifiutare, in ragione dell’imposizione del privato, l’opera conseguente. La prova, pertanto, non concerne più la valutazione di utilitas bensì il giudizio contrario dell’amministrazione e, dunque, trattandosi di prova contraria, la stessa resta in capo al convenuto (Cass. 7158/2018). Il caso di specie è differente, in quanto la società ha avuto modo di precisare che le opere aggiuntive fossero state eseguite in assenza di qualsiasi valida richiesta o autorizzazione, in quanto disposte sulla base di disposizioni verbali di amministratori e funzionari. In questo caso, precisa la Cassazione, l’azione di indebito arricchimento non può essere esperita non tanto per mancanza del requisito, ormai non più necessario del riconoscimento dell’utilità dell’opera da parte della P.A., quanto piuttosto per mancanza dei presupposti di residualità e sussidiarietà dell’azione di cui all’art. 2041 cc, in quanto l’impresa doveva piuttosto esperire l’azione nei confronti dei funzionari che avevano impartito disposizioni nulle (art.191 del Tuel). In altri termini, a causa di una responsabilità diretta del funzionario o dell’amministratore verso il fornitore o il prestatore con esclusione di ogni rapporto obbligatorio tra quest’ultimo e l’ente, deve essere esclusa sostanzialmente la possibilità giuridica per il prestatore di beni e servizi o per l’esecutore di lavori di somma urgenza di esperire nei confronti del Comune azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.. Per mancanza di residualità e sussidiarietà dell’azione, ben potendo il creditore aggredire direttamente il patrimonio del funzionario o amministratore che ha ordinato la spesa.
La sentenza è stata, pertanto, confermata.
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