La richiesta del Sindaco
In materia di conferimento di incarichi a personale in quiescenza, è stato richiesto ai giudici contabili laziali se “è possibile affidare un incarico di supporto, affiancamento e assistenza a titolo oneroso a personale in quiescenza, precisando che l’attività oggetto della prestazione non concernerebbe l’espletamento di funzioni direttive, dirigenziali, di studio o di consulenza”.
Le disposizioni legislative
L’art. 5, comma 9, del d.l. n. 95/2012 prevede che “è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché alle amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (Istat), ai sensi dell’art. 1, comma 2, della l. 31 dicembre 2009, n. 196, di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all’art. 2, comma 2-bis, del d.l. 31 agosto 2013, n. 101, conv., con modificazioni, dalla l. 30 ottobre 2013, n. 125. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall’organo competente dell’amministrazione interessata”.
La ratio del divieto è rintracciabile nel duplice obiettivo di favorire il ricambio generazionale nell’amministrazione e di conseguire risparmi di spesa.
A sua volta, l’art. 53 al comma 16-ter prevede che “I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti”.
Le indicazioni dei giudici contabili
In ragione della tassatività del divieto previsto dalle disposizioni legislative, le attività consentite per gli incarichi si ricavano a contrario, dovendosi le situazioni diverse da quelle elencate non essere ricomprese nel divieto di legge. Infatti, se il divieto riguarda l’attività di “studio e quella di consulenza”, può ritenersi consentita quella di “assistenza” nei limiti in cui si diversifica dalle altre due: assistenza che non comporti studio e consulenza, ossia attività caratterizzata, in negativo, dalla mancanza di competenze specialistiche e che non rientri nelle ipotesi di contratto d’opera intellettuale di cui agli artt. 2229 e ss. del codice civile. Allora, secondo il Collegio contabile, deve concludersi che gli incarichi riferibili alle attività di assistenza devono essere non assimilabili agli incarichi vietati dalla norma citata: “incarichi di studio e consulenza”, “incarichi dirigenziali o direttivi” e “cariche in organi di governo”.
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