di GIANNI TROVATI (Il Sole 24 Ore – 01/09/2023) – In collaborazione con Mimesi s.r.l
Legge di bilancio. Il presidente dell’Anci Decaro scrive a Giorgetti ed elenca le richieste da 940 milioni dei sindaci, mentre le Province puntano ad anticipare fondi per 450 milioni
Non ci sono solo le urgenze di cuneo fiscale, sanità e pubblico impiego o le promesse elettorali da rimodulare su pensioni e Flat Tax a complicare l’orizzonte della manovra. Mentre al Tesoro si lavora sui numeri e nel Governo si aziona la lima nel tentativo di smussare i contrasti oltre alle spese in vista del vertice della prossima settimana, si fanno largo temi solo apparentemente più tecnici.
I primi sono portati dagli enti locali. I sindaci, con una lettera inviata nelle scorse ore dal presidente dell’Anci Antonio Decaro al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti presentano una lista puntuale delle richieste per la legge di bilancio. Valore: 945 milioni di euro, articolati in una serie di misure considerate dagli amministratori locali il minimo sindacale per gestire i bilanci del prossimo anno. Su una linea simile sono le Province, che chiedono di anticipare all’anno prossimo il rifinanziamento da 450 milioni che le prospettive attuali della finanza pubblica spalmano su un lungo orizzonte pluriennale. Dagli enti locali, insomma, la richiesta complessiva viaggia a quota 1,4 miliardi: cifra in sé non ciclopica, che però diventa tale per le esili spalle finanziarie della prossima legge di bilancio.
I punti che gli amministratori locali portano sul tavolo del Governo, si diceva, sono solo apparentemente tecnici, e si sbaglierebbe a considerarli questioni da ragionieri prive di riflessi politici. Perché tra i sindaci e Palazzo Chigi la tensione è alle stelle dopo che la proposta di revisione del Pnrr ha investito in pieno i progetti locali ora in cerca di finanziamento alternativo, anche se sia il ministro Raffaele Fitto sia Decaro hanno usato tutti le armi della diplomazia per evitare almeno finora una rottura ufficiale.
Le Province invece sono al centro dell’agenda leghista, rilanciata anche nei giorni scorsi da Matteo Salvini, che punta ad approvare in fretta il disegno di legge ora in discussione al Senato per ripristinare l’elezione diretta di presidenti e consigli. Ma senza interventi finanziari si rischia di resuscitare politicamente amministrazioni che in larga parte oscillano tra predissesto e default vero e proprio non essendo riuscite ad assorbire i tagli in formato maxi del passato. Chi mastica di politica e di vita dei partiti, poi, sa bene che la rete degli amministratori è essenziale per smuovere molte energie territoriali nelle elezioni europee del prossimo giugno, appuntamento cruciale per i futuri equilibri nella maggioranza come per l’opposizione in cerca di un colpo di reni.
Si inserisce in questo contesto la scelta dei sindaci di non calcare la mano, ma di costruire una selezione chirurgica delle priorità da portare al tavolo della manovra. Fra queste ci sono i 250 milioni aggiuntivi al fondo di solidarietà comunale, per evitare che la «perequazione» (il sistema con cui gli enti più ricchi aiutano quelli più poveri) replichi in misura aumentata le riduzioni di risorse a migliaia di Comuni che quest’anno hanno impedito l’intesa sulla ripartizione del fondo. Il grosso delle voci si concentra poi sulle tante toppe da mantenere per gli enti locali in crisi finanziaria, perché finiti in dissesto o perché rischiano di arrivarci dopo le sentenze costituzionali che hanno cancellato i ripiani trentennali dei disavanzi e delle anticipazioni di liquidità sblocca-debiti.
* Articolo integrale pubblicato su Ilsole24ore del 1° settembre 2023.
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