La scelta dell’ente di scorrere la graduatoria per il passaggio alla categoria superiore deve essere espressa mediante atti fondamentali, come il fabbisogno triennale del personale, ma non può essere la conseguenza di un accodo transattivo il quale non permette di superare i vincoli previsti in tema di passaggio di carriera del dipendente. Per la Cassazione (ordinanza n.26528/2022), la decisione dell’ente di non dare seguito al passaggio di categoria del dipendente, a seguito di rinuncia di alcuni dipendenti vincitori della selezione interna, mediante scorrimento della graduatoria esistente, rappresenta una scelta discrezionale da attuare mediante gli strumenti previsti dalla legislazione, non potendo considerare valida l’avvenuta transazione con il dipendente se poi non siano stati attivati gli atti che attribuiscono il presupposto giuridico per il relativo passaggio.
La vicenda
Un dipendente ha partecipato ad una selezione interna, per il passaggio alla categoria giuridica superiore, posizionandosi al quinto posto della graduatoria per la copertura di due posti di quinta qualifica funzionale (categoria B3), Dei quattro candidati che lo precedevano, due avevano rinunciato, per aver superato altra selezione. L’ente, tuttavia, non procedeva a scorrere la graduatoria lasciando vacante il posto previsto nel bando di selezione, cui ambiva il candidato posizionatosi poi in posizione utili a seguito delle citate rinunce dei vincitori, ma assegnandolo al candidato senza formalizzare il relativo passaggio di categoria. A differenza del Tribunale di primo grado adito dal lavoratore, la Corte di appello ha invece riconosciuto il titolo giuridico del passaggio alla categoria giuridica superiore (da B1 a B3 giuridico) condannando il datore di lavoro al pagamento delle relative differenze stipendiali.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’ente sostenendo che l’assegnazione della dipendente era avvenuta all’interno della categoria contrattuale (B) a prescindere dal possibile rivendicato inquadramento superiore, ben potendo l’ente esigere prestazioni rientranti all’interno della categoria di appartenenza. L’ente, ha, inoltre, obiettato il valore confessorio reso in una sede, il tentativo di conciliazione, funzionale alla sola composizione della lite. Infatti, il verbale del tentativo di conciliazione non poteva essere utilizzato dalla Corte di merito a fini diversi in mancanza di una specifica richiesta dalla parte. Infine, la decisione di ricoprire i posti vacanti con lo scorrimento della graduatoria di concorso rientra nella discrezionalità dell’ente pubblico, non potendo l’autorità giudiziaria sostituirsi alla decisione dell’ente.
La riforma della sentenza
Per i giudici di Piazza Cavour il ricorso è fondato in merito all’errata qualificazione di valore confessorio fornito dai giudici di appello alle dichiarazioni rese dalla amministrazione sede di tentativo obbligatorio di conciliazione. Il tentativo di conciliazione, infatti, non è preordinato a provocare la confessione della parte ma a raggiungere una definizione in via transattiva della lite. Inoltre, nel caso di specie vanno distinti i due momenti della assunzione del vincitore, anche nel caso di selezione interna, da un lato la stipula del contratto di lavoro e l’incardinamento nel posto messo a concorso e, dall’altro la successiva gestione del rapporto di lavoro, una volta costituito. Ora, non vi è dubbio come le vicende successive alla assunzione attengono alla fase di gestione del rapporto di lavoro, nella quale sussistono diritti ed obblighi che fanno capo alle parti del contratto e non a soggetti terzi. In altri termini, una eventuale assegnazione di mansioni diverse da quelle per le quali la assunzione è avvenuta costituirebbe, potrebbe costituire un eventuale inadempimento contrattuale, azionabile dalla dipendente a sua tutela, ma non inciderebbe sulla avvenuta assunzione. In coerenza con tale principio, il D.P.R. n. 3 del 1957, all’ultimo comma dell’art. 8, ha previsto lo scorrimento della graduatoria di concorso, secondo una scelta, comunque, di natura discrezionale della amministrazione, soltanto nel caso in cui alcuni dei posti messi a concorso restino scoperti per rinuncia, decadenza o dimissioni dei vincitori. Nel caso di specie, pertanto, ha errato la Corte di appello affermando che il posto messo a concorso era rimasto vacante per il fatto che la vincitrice era stata adibita, dopo la sua copertura, a mansioni di un profilo professionale diverso.
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