Un dipendente pubblico assolto in ambito penale per poter reclamare le spese deve dimostrare che il proscioglimento sia avvenuto per fatti in connessione con i propri doveri di ufficio e non per occasionalità. Inoltre, la condotta imprudente che sia stata archiviata nel procedimento disciplinare, fa venire meno anche un potenziale conflitto di interessi con l’amministrazione di appartenenza. Con queste indicazioni il TAR della Campania con la sentenza n.4704/2022 ha accolto il ricorso del dipendente avverso il diniego frapposto dal Ministero sul rimborso delle spese legali reclamate.
La vicenda
Un ufficiale giudiziario aveva attestato, nella relata, che il destinatario dell’atto era risultato “trasferito altrove come da informazioni assunte in loco”, laddove in realtà, tale evenienza era riferibile a persona omonima. A tal fine ha subito un processo penale, per la fattispecie di cui all’art. 479 c.p. (falsità ideologica del pubblico ufficiale in atti pubblici), con sentenza di assoluzione piena perché “il fatto non costituisce reato”. A fronte di tale assoluzione ha chiesto il rimborso delle spese legali al proprio Ministero che le ha rifiutate a seguito del giudizio negativo dell’Avvocatura di Stato. Secondo quest’ultima la condotta contestata, riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 479 c.p., non fosse connessa all’espletamento del servizio e, per l’effetto, non fossero integrati i presupposti per il beneficio del rimborso delle spese legali reclamate. Infatti, a dire dell’Avvocatura nel caso di specie non vi è alcun riferimento né nell’argomentazione posta a sostegno dell’assoluzione al compimento di atti di assolvimento del dovere di servizio, bensì di circostanze di inadempienza che, seppur considerate rilevanti sotto il profilo penalistico, determinato un pieno conflitto di interessi con l’amministrazione, tanto da rinvenire estremi di potenziale profilo disciplinare”.
A fronte di tale negligenza il dipendente è stato, inoltre, oggetto di procedimento disciplinare, conclusosi con la relativa archiviazione.
Il dipendente ha, quindi, impugnato il provvedimento di diniego del rimborso delle spese legali davanti al giudice amministrativo.
L’accoglimento del ricorso
La normativa, secondo il Collegio amministrativo, prevede il rimborso delle spese legali sostenute nel corso di giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa promossi nei confronti dei dipendenti pubblici “in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità”.
In riferimento al primo requisito di connessione con l’espletamento del servizio, la giurisprudenza, ha da tempo evidenziato la necessità che sussista uno specifico nesso causale tra la condotta contestata e il servizio prestato. In altri termini, non è sufficiente, ai fini del rimborso, che la condotta contestata abbia trovato “un’occasione di realizzazione nello svolgimento del servizio” ma occorre che essa sia stata, in qualche modo e sul piano astratto, inerente alle mansioni svolte, ossia che per l’espletamento da parte del dipendente pubblico non avrebbe potuto che passare attraverso il compimento di quell’atto. Nel caso di specie, a dire del Collegio amministrativo, si realizza il presupposto previsto dalla normativa in quanto, al ricorrente è stata contestata una condotta (falsa attestazione nella relata di notifica) che si pone direttamente in relazione con la mansione istituzionale da lui svolta (attività di notifica) e che costituisce passaggio obbligato e strumentale per lo svolgimento dei compiti assegnati. D’altra parte,l’amministrazione con l’archiviazione del procedimento disciplinare ha vagliato il comportamento del dipendente come conforme e disposta la conseguente archiviazione del procedimento disciplinare avviato.
Pertanto, deve essere accolta la domanda di annullamento del diniego del Ministero, spettando all’Amministrazione determinarsi in ordine al quantum dovuto.
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