La verifica dell’interesse culturale dei beni

Il D.Lgs. n. 42/2004, introduce all’art. 12 il procedimento per la verifica dell’interesse culturale dei beni mobili ed immobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli enti pubblici ed alle persone giuridiche private senza fine di lucro.

22 Luglio 2019
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Il servizio Anci Risponde risolve il seguente quesito posto da un Comune.

DOMANDA:

Il D.Lgs. n. 42/2004, introduce all’art. 12 il procedimento per la verifica dell’interesse culturale dei beni mobili ed immobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli enti pubblici ed alle persone giuridiche private senza fine di lucro.

L’art. 12 prevede che tutti i beni che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, se mobili, o ad oltre settanta anni, se immobili, siano sottoposti all’accertamento dell’interesse culturale attraverso una procedura che prevede l’invio dei dati identificativi e descrittivi delle cose immobili e mobili ai fini della valutazione di merito da parte dei competenti uffici del Ministero.

Un Comune riceve da un soggetto privato la proposta di cessione, a titolo oneroso, del diritto di utilizzo della propria banca dati, formata da documenti di testo e fotografici pubblici e privati, riguardanti la storia del Comune, dalle origini fino alla sua costituzione formale, avvenuta oltre 60 anni fa.

Tale banca dati costituisce un vero e proprio archivio storico, dal 1857 al 1960, comprendente foto del paese, mappe del litorale dell’IGM di F., mappe catasto terreni, etc.

Le fonti archivistiche consultate e dalle quali è stata tratta la documentazione che si vorrebbe cedere, a titolo oneroso, al Comune proviene da Archivi di Stato, di Comuni e Province, Archivi parrocchiali, universitari e dell’Agenzia delle Entrate.

Si chiede di conoscere se, a vostro parere: – tale proposta rientri nella particolare attività di vendita o commercio di archivi o singoli documenti o beni librari, particolarmente delicata poiché potrebbe coinvolgere anche beni culturali sottoposti a tutela, ai sensi del citato decreto legislativo; – alla luce della normativa vigente, sia onere del Comune eventuale cessionario dei beni, sottoporre la proposta del soggetto privato alla previa vigilanza della competente soprintendenza archivistica e bibliografica per l’autorizzazione o dichiarazione di interesse culturale, ovvero avvalersi della collaborazione del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. O se, al contrario, spetti al cedente la verifica de quo, prima di intraprendere ogni azione di vendita/donazione della banca dati in oggetto.

RISPOSTA:

Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio è stato già oggetto di modifiche introdotte con i due decreti legislativi nn. 156 e 157 del 24 marzo 2006 ed è in attesa di ulteriore revisione per impulso del Ministero dei Beni Culturali.

Sul piano squisitamente operativo uno degli aspetti, maggiormente problematici è rappresentato proprio dal procedimento di verifica di interesse culturale di cui all’art. 12 di cui al quesito.

Così come confezionata la disposizione legislativa ha comportato difficoltà interpretative – riguardanti specialmente le limitazioni soggettive da applicare al procedimento di che trattasi – tra i fruitori della norma e gli stessi soggetti chiamati ad applicarla.

Il procedimento amministrativo per dettato normativo stabilisce con chiarezza che può essere avviato d’ufficio o su richiesta dei singoli soggetti cui i beni appartengono, ma non esprime una altrettanto chiara individuazione dei diversi termini iniziali del procedimento nelle due ipotesi.

Con tutta probabilità nella mente del legislatore il fulcro sta nella ricezione della documentazione relativa al bene da sottoporre a verifica da parte dell’Agenzia del Demanio, indipendentemente dal suo avvio nelle distinte ipotesi.

In buona sostanza la durata del procedimento è fissata in gg. 60, di cui 30 per il completamento della istruttoria (Soprintendenza). Ferma ogni fondata perplessità sul rispetto dei termini fissati nonostante la dichiarazione di perentorietà, ci sembra interessante il fatto che il risultato della verifica, connesso all’inserimento in un archivio informatico per finalità di monitoraggio del patrimonio immobiliare e di programmazione degli interventi, estende le disposizioni procedimentali …omissis…”anche agli immobili appartenenti alle regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché alla proprietà degli altri enti ed istituti pubblici (comma 12).

Ciò che a noi precipuamente interessa è di individuare l’ambito soggettivo di applicazione per eventualmente escludere dal regime normativo il caso descritto dal quesito.

In proposito va detto che ciascun provvedimento individua i soggetti destinatari del provvedimento finale riferito al c.d. procedimento di verifica dell’interesse.

In rapida sintesi facendo riferimento anche alle disposizioni che li nominano, i soggetti sono:

  1. a) le Amministrazioni dello Stato (D.L. n.269/2003, d.lgs. n. 42/2004 e D.M. 28.02.2005); b) le Regioni, le Province, le Città metropolitane ed i Comuni (norme c/s); c) enti ed istituti pubblici (norme c/s); d) persone giuridiche private senza fine di lucro (D.M. 25.01. 2005); e) istituti ed enti religiosi (Accordo 8.03. 2005).

Si può agevolmente notare che trattasi di soggetti pubblici o ad essi equiparati. Esiste poi un regime differenziato di tutela per le cose di interesse storico artistico in relazione alla natura giuridica dei soggetti cui le cose appartengono – privati o “pubblici” – (già dalla legge n.1089/1939).

Tra i due regimi differenziati l’elemento discriminante è rappresentato dal modo di individuazione dei beni oggetto di tutela.

Per i privati, infatti occorre un provvedimento ad hoc dell’Amministrazione – debitamente notificato che assoggetti il bene al regime di vincolo, mentre per quei soggetti definibili “pubblici” l’assoggettamento alla tutela avviene ex lege, ovverosia attraverso disposizioni ad hoc.

Tra i privati si devono far rientrare tutti quei soggetti che dotati di personalità giuridica non perseguano un fine di lucro, come ad esempio gli enti ecclesiastici legalmente riconosciuti, associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni private che abbiano acquistato la personalità giuridica mediante un formale riconoscimento, ma senza fini di lucro.

Un ulteriore criterio da tenere come parametro di riferimento è costituito dal diverso livello dell’interesse che il bene deve avere per assumere la qualità di bene culturale.

I soggetti interessati da tale procedimento sono anche i privati e le persone giuridiche private con scopo di lucro, con la conseguenza che “trattandosi in definitiva di competizione di diversi interessi entrambi di rango costituzionale, quale quello alla tutela del patrimonio artistico da un lato, e quello della proprietà privata dall’altro” (Cons. Stato, sez. VI, 27 agosto 2001, n. 4508, in Riv. giur. ed., 2001, I, p. 1167) è stato previsto un procedimento particolarmente rigoroso e tuzioristico.

Stando al citato principio, per i beni pubblici (ed assimilati) l’interesse di riferimento è solo quello “semplice” (art.10 comma primo) e cioè senza altra aggettivazione, mentre per i beni dei privati l’interesse deve essere «particolarmente importante» (art.10 comma 3, lettera a)) e addirittura “eccezionale” per i beni indicati nel citato dispositivo (lettera e)

Per i beni di appartenenza privata, quindi, il regime di tutela viene rinviato al momento della relativa dichiarazione o, per meglio dire, al momento dell’inizio della fase procedimentale, individuato dalla norma nella comunicazione dell’avvio del procedimento (articolo 14 comma 1).

Sembra anche opportuno segnalare in proposito che l’obiettivo è quello di tutelare in maniera preventiva tutti quei beni che, per la loro natura e per la loro appartenenza, rivestono un potenziale interesse culturale, dall’altro la necessità di un procedimento che consenta la liberalizzazione della circolazione (esigenza quest’ultima particolarmente avvertita allorché si è attuata una politica di alienazione di parte del patrimonio pubblico).

In ordine alla efficacia, è prevalente l’opinione che il provvedimento ha natura meramente dichiarativa in quanto concernente una qualità oggettiva del bene, “in esso intrinsecamente presente”. Quest’ultima tesi – che in passato la Corte costituzionale ha fatto propria respingendo ogni dubbio di incostituzionalità della L. n. 1089/39 ed ogni tentativo di pretendere la corresponsione di un indennizzo a ristoro del pregiudizio derivante dall’imposizione del vincolo – appare preferibile, ove si consideri che l’interesse culturale di un bene non viene creato dal provvedimento amministrativo, che si limita a riconoscerlo, rivelarlo e dichiararlo pubblicamente, ma esiste sin dall’origine.

La giurisprudenza amministrativa regionale ci è d’ausilio nel ricordarci che, come ogni provvedimento amministrativo la dichiarazione deve essere supportata da una valida motivazione con particolare riguardo “all’esistenza degli elementi fattuali e di giudizio giustificativi dell’interesse artistico o storico atto a determinare l’imposizione del vincolo, così da rendere possibile la ricostruzione dell’iter logico seguito dall’amministrazione” (Tar Veneto, sez. II, 29 ottobre 1996, n. 1801, in Giur. mer., 1997, p. 603), nonché “deve accertare il collegamento dei beni e della loro utilizzazione con gli accadimenti della storia e della cultura, individuando l’interesse particolarmente importante del bene, che può dipendere o dalla qualità dell’accadimento che col bene appare collegato o dalla particolare rilevanza che il bene stesso ha rivestito per la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura”. (C.d.S., Sez. VI, 24 marzo 2003, n. 1496).

CONCLUSIONI

Quale che sia il procedimento di verifica, esso spetta al MIBAC (Ministero per i beni e le attività culturali), in ordine alla esistenza o meno dell’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico (categoria questa ultima entro la quale potrebbe astrattamente rientrare il caso esposto dal quesito).

Si ricorda anche che l’attivazione su richiesta della parte si fonda sulla possibilità che, attraverso tale procedura, si ottenga la liberalizzazione del bene da ogni vincolo in ordine alla tutela ed alla circolazione.

L’esito della verifica, che viene proposta d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono (comma 2 articolo 12), può risultare negativo ovvero positivo.

Qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l’interesse sopra evidenziato, le cose medesime sono escluse dal regime di tutela (comma 4 articolo 12).

Si ricorda per completezza di trattazione che avverso la dichiarazione di cui all’articolo 13 è ammesso ricorso al Ministero, per motivi di legittimità e di merito, entro trenta giorni dalla notifica della dichiarazione (articolo 16).

Fermo restando quanto sopra chiarito e salva la possibilità da parte del privato interessato di avviare il procedimento di verifica – diretto non di certo all’ente locale coinvolto – chi scrive ritiene che, salvo smentita da parte dell’Organo Ministeriale valutatore, dei beni immateriali in questione, per come descritti dal quesito e consistenti in una mera, se pure finalizzata e tematica raccolta documentativa e di quant’altro concernente la storia culturale e sociale del Comune, non sarà positivamente riscontrato, accertato e dichiarato l’interesse culturale ex art. 12 del Codice.

In ogni caso, soltanto successivamente ad un eventuale riscontro positivo, l’amministrazione locale potrà valutare l’ipotesi di acquisizione del bene al proprio patrimonio, a titolo grazioso o oneroso rispettando ogni disposizione legislativa (Tuel) e regolamentare (Regolamento di Contabilità) al fine di adottare dei legittimi e regolari provvedimenti comunali acquisitivi.

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