Il rilascio di certificati di morte previsti come gratuiti non abilitano il dipendente alla richiesta anche di modiche somme per i servizi resi. L’assoluzione penale per la modicità delle somme ricevute, al di sotto dei limiti previsti dal codice di comportamento dei dipendenti pubblici, non esimono l’ente dall’attivazione dell’azione disciplinare. La Cassazione (sentenza n.3659/2021) ha ritenuto legittimo il provvedimento espulsivo del dipendente dell’anagrafe che richiedeva 5 euro per ogni certificato di morte rilasciato, invece, che rilasciarlo in modo gratuito così come previsto.
La vicenda
A seguito di registrazione su di un arco temporale di alcuni mesi, è emerso che un dipendente avrebbe rilasciato certificati di morte agli utenti richiedendo 5 euro anziché rilasciarli in modo gratuito. Il procedimento penale si era concluso in senso favorevole per il dipendente, in ragione della modicità delle somme ricevuto in quanto non provato che le regalie accettate avessero superato quei 150 euro per anno solare che i codici di comportamento per i pubblici dipendenti pongono alla soglia-limite ammessa. Il procedimento disciplinare, invece, si era concluso con il licenziamento con preavviso. Il Tribunale di primo grado e, successivamente, la Corte di appello confermavano la legittimità del licenziamento disciplinare, in quanto effettuato in violazione del codice di comportamento dell’ente, ritenendo che la richiesta o accettazione di regali o di altre utilità anche di modico valore qualora come nella specie non “d’uso” (in quanto correlata alla definizione, nell’interesse di chi aveva erogato l’utilità, di una pratica amministrativa) integrasse un comportamento contrario ai doveri d’ufficio. A nulla rilevando l’esito assolutorio del Tribunale penale in relazione al reato di corruzione e rimarcava l’autonomia della valutazione in sede disciplinare sotto il profilo dell’inadempimento dei doveri ed obblighi che il dipendente è tenuto ad osservare.
Il dipendente ha proposto ricorso in Cassazione evidenziando, tra i vari motivi, l’erronea applicazione delle violazioni del codice di comportamento del dpr n.52/2013 e di quello approvato dalla giunta comunale senza stabilire la connessione all’assoluzione ottenuta in sede penale.
La conferma della Cassazione
I giudici di Piazza Cavour hanno precisato che mentre i fatti penali da cui è scaturita l’assoluzione hanno riguardato il fatto reato e cioè il fatto corruttivo ma non ha certo escluso il fatto materiale costituito dalla ricezione da privati, nell’esercizio delle funzioni, di somme di denaro. La questione sollevata dal Tribunale penale, infatti, non hanno posto dubbi sull’accertamento delle condotte abituali contestate, ma che sarebbe stata necessaria una ulteriore istruttoria, ritenendo quella contestata insufficiente a provare che le regalie accettate avessero superato quei 150 euro per anno solare che i codici di comportamento per i pubblici dipendenti pongono alla soglia-limite ammessa. In termini generali, infatti, sanzione disciplinare, è strettamente correlata al potere direttivo del datore di lavoro, inteso come potere di conformazione della prestazione alle esigenze organizzative dell’impresa o dell’ente, potere che comprende in sé quello di reagire alle condotte del lavoratore che integrano inadempimento contrattuale. Diversi essendo i presupposti delle relative responsabilità ed i piani di operatività dei rispettivi giudizi, non è precluso al giudice civile di esaminare i medesimi accadimenti nell’ottica dell’illecito disciplinare, non sussistendo alcun vincolo rispetto alle valutazioni nella sentenza penale laddove le stesse esprimano determinazioni riconducibili a finalità del tutto distinte rispetto a quelle del giudizio disciplinare.
Il codice di comportamento dell’ente ha precisato che i ‘regali, compensi ed altre utilità” impongono al dipendente di non accettarne salvo quelli di modico valore, effettati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia. Nel caso di specie, giudici di appello hanno escluso che le dazioni di denaro in questione potessero essere ricondotte alle ‘regalie d’uso’ in quanto solo correlate alla definizione, nell’interesse del soggetto erogante l’utilità, di una pratica amministrativa da parte del ricevente. D’altra parte, anche l’art. 4 del d.P.R. n. 62 del 2013 prevede che il dipendente non chiede, per sé o per altri, regali o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio da soggetti che possano trarre benefici da decisioni o attività inerenti all’ufficio, né da soggetti nei cui confronti è o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell’ufficio ricoperto.
Per queste motivazioni il ricorso del dipendente è stato rigettato.
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