La questione riguarda un bene in locazione e se un ente locale abbia la possibilità, non essendo il bene locato destinato a servizi pubblici o uffici, di apportare delle migliorie anche in grado di mutarne la destinazione d’uso. Secondo la Corte dei conti del Piemonte (deliberazione n.170/2021) pur non rientrando la fattispecie nelle disposizioni riguardanti le locazioni passive, ne indica le condizioni previste dai principi contabili che possano legittimare gli investimenti dell’ente locale su un bene immobile di cui non ne possiede la proprietà, precisando le condizioni al fine di non eludere la normativa posta a presidio della riduzione delle locazioni passive da parte degli enti locali.
La legislazione di riferimento
L’art. 3 D.L. 6 luglio 2012, n. 95 contiene una serie di interventi mirati alla realizzazione dell’obiettivo di riduzione della spesa delle locazioni passive per le Amministrazioni dello Stato e per gli Enti locali, attrverso una serie di strumenti come, il blocco dell’adeguamento ISTAT per i canoni dovuti da Amministrazioni incluse nel conto economico consolidato per il triennio 2012-2014 (poi prorogato fino al 2021) e, per Regioni ed enti locali, fino al 2013, la possibilità di recedere anche in deroga ai termini di preavviso previsti dai contratti. Al comma 4 del citato decreto è, inoltre, previsto la riduzione del 15% dei canoni e i limiti al rinnovo.
Rispetto alla normativa citata, tuttavia, il quesito posto dall’ente locale di effettuare investimenti per migliori su un bene immobile ricevuto in locazione, anche al fine di modificarne la destinazione d’uso, non rientra tra le ipotesi limitative poste dalla normativa.
Le indicazioni del Collegio contabile
I magistrati contabili piemontesi confermano come, la richiesta dell’ente di effettuare investimenti per migliorie su un immobile in locazione di terzi per finalità non istituzionali, non rientra tra i divieti posti dalla normativa. In altri termini, l’art.3 del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, nel porre un tetto di spesa, fa, infatti, riferimento all’obbligazione principale a carico del conduttore, ovvero al pagamento del canone, mentre l’esecuzione di lavori di miglioria esula dalle prestazioni a cui è tenuto quest’ultimo, rappresentando una vicenda del tutto eventuale del contratto.
Ricorda il Collegio contabile come, il principio contabile allegato n. 4/3 al D. Lgs. 118/2011, al punto 4.18 prevede la possibilità per gli enti locali di eseguire migliorie su beni di terzi, regolandone i criteri di ammortamento da seguire nel caso in cui l’ente faccia investimenti apportando miglioramenti su immobili di terzi di cui si vale in locazione (gli stessi andranno iscritti tra le immobilizzazioni immateriali e ammortizzati nel periodo più breve tra quello in cui le migliorie possono essere utilizzate – vita utile residua dell’immobile del terzo – e quello di durata residua del contratto di locazione). Il medesimo principio contabile, richiede a tal fine che il revisore renda uno specifico parere che avrà ad oggetto “la verifica, da effettuarsi per ogni singolo caso, di una convenienza dell’ente ad apportare migliorie su beni di terzi, in uso, a qualunque titolo detenuti, tenendo in debito conto dei casi in cui la spesa è prevista come obbligatoria dalla legge”. Nell’ambito di tale verifiche, l’ente locale dovrà evitare di eludere la normativa prevista sui contratti di locazione. Infatti, il risparmio conseguito attraverso la prevista riduzione del 15% applicata sul canone di locazione corrisposto per i contratti in corso e, per i nuovi contratti, su quello congruo dall’Agenzia del demanio, potrebbe essere annullato dai costi sostenuti per le migliorie. Infatti, l’esecuzione di lavori di investimento, nella misura in cui produce un aumento di valore del bene, potrebbe in sostanza essere, nel caso concreto, lo strumento per trasferire al proprietario del bene risorse maggiori di quelle consentite con l’introduzione del citato limite di spesa. D’altra parte, ai sensi dell’art. 1592 del codice civile i costi sostenuti dal conduttore per le migliorie rimangono, come regola generale, a suo carico. Tale norma prevede infatti che “salvo disposizioni particolari della legge o degli usi, il conduttore non ha diritto a indennità per i miglioramenti apportati alla cosa locata. Se però vi è stato il consenso del locatore, questi è tenuto a pagare un’indennità corrispondente alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore del risultato utile al tempo della riconsegna”.
Pertanto, nel caso di specie l’ente dovrà valutare se la durata residua del contratto di locazione sia coerente con la vita utile dell’investimento che si intende effettuare, al fine di non gravare con risorse del proprio bilancio un vantaggio conferito a terzi, oltre a dover prevedere e regolare il regime dei rimborsi per le eventuali migliorie apportate. Inoltre, nella propria valutazione discrezionale l’ente dovrà valutare attentamente che vi sia un interesse pubblico prevalente che giustifichi l’esborso di somme per lavori di miglioria e di trasformazione sul bene locato avendo cura di assicurare che le iniziative adottate non si traducano, nella sostanza, in uno strumento per eludere l’applicazione di norme imperative di finanza pubblica.
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