La gestione economica e giuridica delle avvocature interne – Il regolamento e le relazioni sindacali

Approfondimento di V. Giannotti

Da un lato, la questione dei compensi delle avvocature interne ha coinvolto, in diverse riprese la magistratura amministrative, civile e contabile, nonché a diverse riprese il Ministero dell’Economia, l’ARAN e, infine, il legislatore con diversi interventi. D’altro lato, gli enti locali hanno avuto difficoltà a comprendere le risorse da inserire nei fondi delle risorse decentrate, i regolamenti per la distribuzione delle competenze, l’applicazione del regime fiscale sui compensi e, in particolare, sul corretto calcolo dell’IRAP e del tipo di reddito (professionale, a gestione separata, reddito dal lavoro dipendente). Infine, ancora oggi, a distanza di diversi anni dalle disposizioni introdotte dal d.l. 90/2014, la materia dei compensi professionali dovuti agli avvocati interni degli enti locali si presta a continue richieste di chiarimento da parte dei Sindaci.

Si precisa, inoltre, come la giurisprudenza amministrativa (Tar Basilicata sentenza n. 100 del 28 febbraio 2012) abbia avuto modo di precisare come «Lo status giuridico ed economico degli avvocati degli enti pubblici risulta caratterizzato dalle seguenti e rilevanti peculiarità, che lo contraddistinguono nettamente dagli altri pubblici dipendenti, in quanto gli avvocati degli enti pubblici sono iscritti nell’elenco speciale, annesso all’albo degli avvocati, e sono professionisti, lavoratori dipendenti, che hanno come unico ed esclusivo cliente l’ente di appartenenza, in favore del quale possono soltanto espletare sia l’attività di rappresentanza e difesa in giudizio, cioè un’attività lavorativa che richiede una preparazione tecnica specialistica, superiore a quella normalmente riscontrabile in un dipendente amministrativo, sia pur di elevato inquadramento, sia l’attività di assistenza consulenziale, la quale viene normalmente espletata da tutti i funzionari amministrativi, ma per le questioni più rilevanti e più complesse viene chiesto l’ausilio degli avvocati dell’ente. Ciò comporta la contemporanea appartenenza degli avvocati degli enti pubblici all’ordinamento burocratico dell’ente in virtù del rapporto di pubblico impiego, verso il quale rispondono per la corretta esecuzione del mandato professionale loro affidato, e all’ordinamento professionale per l’iscrizione al Consiglio dell’Ordine degli avvocati, al quale rispondono a titolo di responsabilità disciplinare per le violazioni ai doveri professionali. Ai sensi dell’art. 3, comma 4, lett. b), R.D. n. 1578/1933 l’iscrizione di un avvocato di un ente pubblico nell’elenco speciale, annesso all’albo degli avvocati, può essere effettuata soltanto se presso l’ente pubblico di appartenenza esiste un ufficio legale, costituente un’unità organica autonoma e indipendente dal potere politico, dotata di un adeguato supporto amministrativo e dei necessari mezzi strumentali necessari per l’esercizio della professione forense, e soltanto se i singoli avvocati possono esercitare l’attività professionale giudiziaria ed extragiudiziaria (con esclusione di ogni attività di gestione amministrativa) con libertà ed autonomia e in posizione di indipendenza da tutti i settori dell’apparato amministrativo. Infatti, anche per l’attività di consulenza è necessaria una piena autonomia e indipendenza, in quanto ogni questione giuridica può essere esaminata, facendo prevalere considerazioni di opportunità politica e non esclusivamente argomentazioni tecnico-giuridiche, come prescritto dai canoni della deontologia professionale, ed è per questo motivo che il predetto art. 3, comma 4, lett. b), R.D. n. 1578/1933 non consente l’iscrizione nell’elenco speciale, annesso all’albo degli avvocati, ai giuristi d’impresa, dipendenti di enti privati (anche se partecipati da enti pubblici e/o soggetti a controlli pubblicistici), dal momento che tali lavoratori, essendo sottoposti al potere di subordinazione gerarchica, non possono svolgere con piena autonomia (e con la necessaria serenità) l’attività professionale di avvocato».

Il regolamento e le relazioni sindacali

Secondo il TAR per la Toscana (Sentenza 09/03/2017 n.355) le disposizioni del d.l.90/2014 hanno rimesso ai regolamenti degli enti di appartenenza e alla contrattazione collettiva di stabilire i criteri di riparto dei compensi da corrispondere a seguito di recupero di spese legali in favore dell’ente, nell’ipotesi di sentenza recante condanna delle controparti al pagamento delle spese di lite, ovvero nell’ipotesi di pronuncia giudiziale di compensazione delle spese e, in mancanza dei citati criteri, da individuarsi entro il termine di tre mesi dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 90/2014 (19 agosto 2014), l’ottavo comma dell’art. 9 cit. stabilisce che, con decorrenza dal 1 gennaio 2015, le amministrazioni pubbliche non possono corrispondere compensi professionali agli avvocati che operano alle loro dipendenze. Pertanto, in ragione dell’obbligo che incombe a carico degli enti, appare irrilevante la mancata intesa con le parti sindacali, sui contenuti della contrattazione decentrata, la quale in ogni caso non può pregiudicare il diritto degli avvocati dipendenti alla percezione dei compensi professionali loro spettanti, rimettendone la soddisfazione ai tempi imprevedibili della contrattazione integrativa. A ben vedere, precisano i giudici amministrativi, né il contratto della dirigenza, né quello del personale non dirigenziale, sembra rimettere la citata regolamentazione subordinandola ad un accordo con le parti sindacali, i cui soli limiti riguardano invece la correlazione tra tali compensi professionali e la retribuzione di risultato rimessa alla contrattazione integrativa. Pertanto spetta all’amministrazione in via unilaterale l’approvazione dei citati regolamenti, senza necessità che i criteri di ripartizione abbiano la necessità di un possibile avallo in sede decentrata. Da ciò discende come la devoluzione ai regolamenti e ai contratti collettivi dei criteri di riparto fra il personale delle avvocature dei compensi professionali, nonché dei criteri di riparto degli affari consultivi o contenziosi, implica dunque il riconoscimento in capo alle amministrazioni interessate di una potestà esercitabile anche unilateralmente e che non può essere ridotta a un fenomeno micro-organizzatorio, nella misura in cui incide sull’organizzazione dell’ufficio legale dell’ente, prima che sulla concreta gestione dei rapporti di lavoro con gli avvocati dipendenti ivi assegnati.

Consulta anche: La gestione economica e giuridica delle avvocature interne – Compensi e fondo integrativo, Irap e trattamento economico complessivo

 

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