La finalità del fondo crediti commerciali non è quella di accantonare risorse per interessi moratori

9 Novembre 2023
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Secondo un ente locale, il mancato accantonamento al Fondo crediti commerciali non è stato effettuato in ragione della mancata richiesta da parte delle società creditrici, i cui pagamenti erano superiori ai trenta giorni previsti dalla normativa, non hanno chiesto interessi moratori. Secondo la Corte dei conti del Piemonte (deliberazione n.86/2023) l’ente locale non ha compreso la finalità della normativa.

La ratio dell’accantonamento

A seguito della richiesta del magistrato istruttore, sul mancato accantonamento a consuntivo del Fondo crediti commerciali, l’ente ha riferito di aver accantonato nel bilancio le risorse, in ragione del superamento dei limiti di pagamento rispetto ai trenta giorni previsti dalla normativa ma che, in sede di conto consuntivo, non essendo pervenute richieste di interessi moratori da parte dei creditori, l’accantonamento non è stato effettuato. Il Collegio contabile ha evidenziato come, la tesi sostenuta dall’ente locale, non ha fondamento normativo. Infatti, la motivazione legislativa dell’accantonamento del fondo di garanzia non mira a rendere disponibili risorse per il pagamento di interessi o penalità di mora, bensì, come anche sottolineato dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 78/2020, secondo cui “nell’esigenza di sopperire alla incapacità dell’ente di coordinare l’assunzione di obbligazioni (legittimamente iscritte in bilancio) con la effettiva disponibilità della liquidità necessaria al loro pagamento alle scadenze di legge. Per tale aspetto, dunque, le norme impugnate perseguono la finalità propria dei principi di coordinamento della finanza pubblica, atteso il fondamentale rilievo che, come si è visto, assume il rispetto dei termini di pagamento previsti dal d.lgs. n. 231 del 2002 e dalla relativa normativa europea”. Sempre secondo l’autorevole pronuncia, emessa quando ancora era prevista la confluenza del fondo stanziato nella quota libera del risultato di amministrazione, “il fondo da appostare in bilancio rappresenta, infatti, una soluzione contabile e gestionale funzionale a consentire all’amministrazione di disporre di liquidità necessaria a velocizzare i pagamenti delle proprie obbligazioni commerciali e a ridurre la relativa voce di debito residuo. (…) Pertanto, se è pur vero che – imponendo l’obbligatorio accantonamento nel fondo di nuova istituzione – le norme limitano la piena disponibilità delle risorse dell’ente in sede di predisposizione del bilancio e di programmazione della spesa, è tuttavia evidente che ciò rappresenta il coerente strumento con cui le disposizioni stesse hanno inteso porre un rimedio all’accertata violazione dei termini di pagamento. Difatti, quest’ultima patologica situazione consegue di regola al fatto che l’ente, nell’esercizio della sua autonomia gestionale e di bilancio, non ha coordinato la programmazione e l’impegno delle proprie obbligazioni, legittimamente assunte e vincolanti, con la disponibilità di cassa necessaria alle previste scadenze di pagamento”. L’art.2, comma 4-quater, lettera b) del D.L. 31/12/2020 ha, infatti, disposto la confluenza del FGDC nella quota accantonata del risultato di amministrazione, anziché in quella libera. Non può quindi accettarsi la tesi dell’ente secondo la quale, in assenza di addebiti di interessi moratori o di penalità per ritardo da parte dei creditori, l’accantonamento nel risultato di amministrazione possa considerarsi superfluo.

Conclusioni

In ragione dell’omesso accantonamento l’ente è invitato a provvedere alla necessaria rettifica del prospetto dimostrativo del risultato di amministrazione 2021 e a verificare anche la correttezza di compilazione del prospetto relativo all’esercizio 2022, ultimo approvato. Nel caso di specie, non essendo la quota disponibile capace di assorbire l’accantonamento si realizza un disavanzo dove l’ente sarà tenuto ad adottare le misure di recupero previste dall’articolo 188 TUEL.

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