Il dirigente a contratto che abbia subito una condanna penale per abuso di ufficio prima dell’emissione dell’ordinanza di demolizione, rende nullo l’atto amministrativo emesso per carenza di potere. Con queste motivazione il Consiglio di Stato (sentenza n.6538/2022) ha confermato la nullità del provvedimento amministrativo di demolizione del manufatto abusivo a firma del dirigente condannato, a nulla rilevando la disposizione del responsabile dell’anticorruzione che ha archiviato il procedimento non ravvisando i presupposti per l’applicazione dell’art. 3 del D.Lgs. n. 39/2013, ossia sulla inconferibilità degli incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione.
La vicenda
Un dirigente assunto ai sensi dell’art.110, comma 1, del Tuel quale responsabile dell’ufficio tecnico è stato condannato per abuso di ufficio. Avverso il provvedimento di demolizione di un manufatto abusivo hanno presentato ricorso al giudice amministrativo di primo grado i soggetti raggiunti dall’ordinanza di demolizione, sostenendo che la condanna del dirigente per un reato contro la pubblica amministrazione, avesse travolto il provvedimento emanato in ragione della carenza di potere del medesimo dirigente e, quindi, con provvedimento affetto da nullità. Il TAR adito ha dato ragione ai ricorrenti, dichiarando la nullità dell’ordinanza. Avverso la decisione è ricorso l’ente locale in Consiglio di Stato rilevando la legittimità del provvedimento emanato in quanto, a seguito dell’apertura della procedura di contestazione da parte del responsabile dell’anticorruzione dell’ente locale, n è stata statuita l’archiviazione non avendo ravvisato i presupposti per l’applicazione dell’art. 3 del D.Lgs. n. 39/2013.
La conferma
Secondo i giudici amministrativi di appello, è incontestato che il firmatario dell’atto impugnato in primo grado aveva subito, prima dell’emissione di quel provvedimento, una condanna penale per il reato di cui all’art. 323 del codice penale. Tale condanna comportava, ai sensi dell’art. 3, comma 6, del decreto legislativo n. 39/2013 (ossia “, la sospensione degli effetti dell’incarico dirigenziale attribuitogli dall’Amministrazione, sì da rendere illegittimo il provvedimento da lui emesso sine titulo dopo la sentenza penale. Ora, secondo il Consiglio di Stato, l’archiviazione disposta dal responsabile dell’anticorruzione, ha effetti circoscritti alla verifica di cui all’art. 15 del decreto legislativo n. 39/2013, ma non può avere effetti di sanatoria su di un atto precedentemente emesso sine titulo da un soggetto privo ex lege del relativo potere di emanazione. In altri termini, un simile potere sanante di una pregressa violazione di legge non è consentito sia in base a principi generali sia perché non contemplato tra i poteri di vigilanza previsti nel citato art. 15 del decreto legislativo n. 39/2013.
I giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato come, la specifica normativa contenuta nel decreto legislativo n. 39/2013, e in particolare nell’art. 3 di quel decreto legislativo, abbia previsto dettagliate disposizioni in materia di inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione, e ha disciplinato espressamente:
- i tipi di incarico che possono subire la disciplina di inconferibità per condanna (comma 1);
- le tipologie dei reati e la durata dei relativi effetti di inconferibilità (commi 2 e 3);
- la possibilità di conferire incarichi compatibili (comma 4);
- la cessazione ipso iure della situazione di inconferibilità ove sia pronunciata, per il medesimo reato, sentenza anche non definitiva, di proscioglimento (comma 5);
- la già citata specifica previsione, contenuta nel comma 6, secondo cui nel caso di condanna, anche non definitiva, per uno dei reati di cui ai commi 2 e 3 nei confronti di un soggetto esterno all’amministrazione, ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico cui è stato conferito uno degli incarichi di cui al comma 1, sono sospesi l’incarico e l’efficacia del contratto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo, stipulato con l’amministrazione, l’ente pubblico o l’ente di diritto privato in controllo pubblico;
- gli effetti della sospensione sul trattamento economico (previsione contenuta nel medesimo comma 6),
- l’incidenza della sospensione sul permanere dell’incarico (previsione pure contenuta nel medesimo comma 6);
- l’espressa previsione di equiparazione, ai fini in argomento, della sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. alla sentenza di condanna (comma 7).
In conclusione, l’appello deve essere respinto in quanto infondato.
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