In assenza di contratto scritto è legittima l’applicazione al professionista della sola indennità di assenza dallo studio

25 Agosto 2023
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In assenza del contratto scritto, previsto dalla PA “ad substantiam” pena la nullità della prestazione, al fine della liquidazione dell’ingiustificato arricchimento delle attività svolte, il giudice deve disporre l’importo dovuto non sulla base delle tariffe professionali, ma in via equitativa. In questo caso la Cassazione (Ordinanza n.23636/2023) ha giudicato legittima la liquidazione disposta dal giudice (pari a circa 7 mila euro, rispetto alla quantificazione operata dalla CTU, che aveva operato in base alle tariffe professionali, per un importo quantificato in 1,8 Milioni di euro.

Il fatto

In relazione all’attività professionale svolta, per la predisposizione di un piano definitivo di risanamento del consorzio di bonifica, attività regolarmente consegnata alla Regione committente, alcuni professionisti hanno adito il Tribunale per vedersi riconoscere i compensi per ingiustificato arricchimento. A seguito della CTU contabile (che aveva quantificato l’importo complessivo spettante in euro circa 1,8 Milioni di euro) il giudice di primo grado ha loro liquidato circa 7 mila euro a titolo di corrispettivo e pagamento della parcella professionale, utilizzando come parametro l’indennità di assenza dallo studio equitativamente diminuita. La Corte di appello, adita dai professionisti che lamentavano l’esiguità dei compensi, nonostante il CTU ne avesse quantificato un importo congruo basandosi sulle tariffe professionali, ha confermato la quantificazione del primo giudice, dichiarando inapplicabile la tariffa professionale dei commercialisti e la parcella vistata dall’ordine. La questione, quindi, è giunta in Cassazione.

La conferma

Nel caso di specie, secondo i giudici di Piazza Cavour, la questione riguarda l’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti dell’Ente pubblico che ha usufruito dell’utilità dell’opera e questo è stato confermato sia dal Tribunale di primo grado sia dalla Corte di appello. Correttamente i giudici di primo grado ha disatteso la CTU la quale si era riportata all’uso della tariffa professionale, in quanto l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subìta da chi ha eseguito la prestazione, con esclusione di quanto questi avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace. Il giudice di legittimità, con orientamento consolidato, ha avuto modo di precisare che “In tema di azione generale di arricchimento, l’indennizzo dovuto al professionista che abbia svolto la propria attività in favore della pubblica amministrazione, ma in difetto di un contratto scritto, non può essere determinato in base alla tariffa professionale, neppure indirettamente quale parametro del compenso che il professionista avrebbe potuto ottenere se avesse svolto la sua opera a favore di un privato, né in base all’onorario che la P.A. avrebbe dovuto pagare, se la prestazione ricevuta avesse formato oggetto di un contratto valido”. Pertanto, è stato chiarito come, a causa della difficoltà di determinazione del suo preciso ammontare, l’indennizzo può formare oggetto di una valutazione di carattere equitativo ai sensi dell’art. 1226 c.c., anche officiosa. Pertanto, nel caso di specie, il giudice ha dato corretta applicazione dei menzionati principi elaborati dal giudice di legittimità, con la conseguenza che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

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