In assenza di contratto con il fornitore, del mancato pagamento non rispondono i funzionari o gli amministratori

In presenza di un impegno di spesa adottato dall’ente, la mancanza del contratto scritto tra amministrazione e fornitore, non comporta alcuna responsabilità del funzionario e dell’amministrazione poiché l’attività di quest’ultimo è stata condotta in violazione della regola della forma scritta richiesta dalla normativa, a nulla rilevando la mancanza di competenze giuridiche del fornitore o del professionista.

30 Novembre 2020
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Se da un lato la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto che la spesa sostenuta in violazione delle regole contabili, crea una scissione “ope legis” del rapporto di immedesimazione organica tra i suddetti agenti e la P.A., escludente la riferibilità a quest’ultima delle iniziative adottate al di fuori della schema procedimentale delle norme ad evidenza pubblica, dall’altro lato il fornitore o il professionista ha la possibilità di rivalersi nei confronti dei funzionari o amministratori che quella spesa hanno consentito. In presenza, invece, di un impegno di spesa adottato dall’ente, la mancanza del contratto scritto, a pena di nullità, tra amministrazione e fornitore, non comporta alcuna responsabilità del funzionario e dell’amministrazione poiché l’attività di quest’ultimo è stata condotta in violazione della regola della forma scritta richiesta dalla normativa, a nulla rilevando la mancanza di competenze giuridiche del fornitore o del professionista. Sono questi i principi indicati dalla Cassazione (ordinanza n.25787/2020).

La vicenda

Un professionista che aveva proceduto alla progettazione e direzione del lavori di un opera pubblica ha adito il giudice civile per mancata corresponsione delle competenze professionali dovute, nonostante la regolare fattura emessa. Il Comune si difendeva opponendo il decreto ingiuntivo del professionista, e al contempo attivava la domanda di responsabilità civile nei confronti di tre amministratori per la spesa sostenuta. Le cause sono state riunite ed il Tribunale di primo grado ha respinto domanda del Comune di risoluzione del contratto, di riduzione del prezzo e risarcimento dei danni, ma, al contempo, ha revocato anche il decreto ingiuntivo del fornitore rilevando che non sussisteva alcun valido contratto d’opera professionale concluso per iscritto. La sentenza non è stata impugnata con suo passaggio in giudicato. Il professionista, quindi, ha proposto ricorso per l’accertamento della responsabilità degli amministratori del Comune che avevano consentito lo svolgimento della sua prestazione professionale, ai sensi dell’art. 191 del d. Igs. n. 267/2000 e, in subordine, invocava l’accoglimento della domanda di pagamento del saldo nei confronti del Comune, ai sensi dell’art. 1338 c.c., o, in via sussidiaria, in virtù dell’art. 2041 c.c. per ingiustificato arricchimento. Il Tribunale di primo grado e, successivamente la Corte di appello hanno respinto le doglianze del fornitore. In via principale i giudici di appello evidenziavano come non ricorrevano, nel caso di specie, la condizioni cui la legge subordina la diretta responsabilità degli amministratori e funzionari della P.A. e, inoltre, che l’appellante non aveva dimostrato il fatto oggettivo dell’arricchimento da parte del suddetto ente comunale, donde il rigetto anche del motivo relativo all’applicabilità dell’invocato art. 2041 c.c.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il professionista per cassazione evidenziando alcuni errori a suo dire commessi dai giudici di appello. Il primo riguarda l’omesso esame della richiesta del professionista se anche la situazione contrapposta di insussistenza della validità del contratto avesse travolto il relativo impegno di spesa, discendendo dall’affermazione di tale presupposto il riconoscimento della responsabilità degli amministratori e dei funzionari ai sensi del citato art. 191 T.U. degli enti locali (d.lgs. n. 267/2000). Il secondo motivo ha riguardato il legittimo affidamento del professionista con conseguente riconoscimento della responsabilità degli amministratori che avevano agito per conto del Comune e, in ogni caso, si sarebbero dovute considerare configurate le condizioni per ravvisare l’ipotesi dell’arricchimento senza causa da parte del citato Comune.

La conferma della Cassazione

In via principale, al fine di dichiarare infondato il motivo del ricorso, i giudici di Piazza Cavour hanno rilevato come nel caso di specie vi è stato regolare impegno di spesa da parte dell’ente, con la conseguenza che non potevano dirsi sussistenti le condizioni per affermare la responsabilità diretta di amministratori e funzionari di detto Comune, rilevando correttamente che, in effetti, la declaratoria di nullità del contratto (per difetto della necessaria prova scritta per la conclusione del contratto di prestazione professionali con una P.A.) non poteva essere imputata a detti soggetti, precisandosi che, in ogni caso, l’attività del citato Comune non era stata posta in essere in violazione delle regole contabili, ossia provvedendo all’assunzione del debito “fuori bilancio”. Sulla questione il giudice di legittimità è intervenuto in diverse occasioni precisando come, in tema di assunzione di impegni e di effettuazione di spese da parte degli enti locali, l’art. 191 del d. Igs. 18 agosto 2000, n. 267 ha previsto un innovativo sistema di imputazione alla sfera giuridica diretta e personale dell’amministratore o funzionario degli effetti dell’attività contrattuale dallo stesso condotta in violazione delle regole contabili in merito alla gestione degli enti locali, comportante, relativamente ai beni o servizi acquisiti, una frattura o scissione “ope legis” del rapporto di immedesimazione organica tra i suddetti agenti e la P.A., escludente la riferibilità a quest’ultima delle iniziative adottate al di fuori della schema procedimentale delle norme ad evidenza pubblica.

Pertanto, solo in tal caso l’amministratore o i funzionario rispondono con il proprio patrimonio, senza che sia esperibile l’azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A., atteso che difetta il requisito della sussidiarietà (art. 2042 c.c.), che va escluso quando esista altra azione esperibile non solo nei confronti dell’arricchito, ma anche nei confronti di persona diverso, da esso.

Continua il giudice di legittimità precisando che la Corte di appello abbia, inoltre, correttamente respinto la domanda responsabilità pre contrattuale dell’ente. Infatti, in merito alla responsabilità dell’ente, il discorso non può che essere esteso anche al professionista il quale non avrebbe potuto ignorare che per la valida instaurazione del rapporto con il Comune occorreva – sotto pena di nullità, per espressa previsione di legge, con l’effetto che la sua negligenza non era scusabile e che, ai fini di tale consapevolezza, non occorreva necessariamente essere un esperto di materie giuridiche, come incongruamente sostiene il ricorrente – la stipula di un formale contratto, donde l’inconfigurabilità della dedotta violazione dell’art. 1338 c.c. Infatti, se è vero che la legge tutela nella fase precontrattuale il contraente in buona fede, è altrettanto vero che ciò non può essere desunto nel caso di specie in presenza della colpa dello stesso contraente che avrebbe dovuto con la ordinaria diligenza conoscere che, in assenza di sottoscrizione del contratto il medesimo sarebbe stato nullo, richiedendo qualsiasi rapporto con la PA la forma scritta “ad substantiam”.

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