di Alberto Barbiero
Gli statuti delle società partecipate possono contenere clausole di prelazione esercitabili dai soci pubblici e privati, finalizzate a tutelare l’interesse pubblico perseguito con il modulo societario. Il Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n. 6222/2020, ha chiarito la funzione delle clausole di prelazione che stabiliscono il diritto esercitabile dai soci pubblici e i criteri per la determinazione del prezzo delle azioni o delle quote, delineando il percorso per l’applicazione della facoltà data dal comma 2 dell’articolo 10 del Dlgs 175/2016. Proprio questa disposizione, infatti, inserisce nel processo di alienazione delle partecipazioni la possibilità di garantire il diritto di prelazione dei soci, quando eventualmente previsto dalla legge o dallo statuto. Pertanto è un dato normativo di rango legislativo che stabilisce che anche in ipotesi di società a partecipazione pubblica, la libera circolazione delle partecipazioni può essere limitata dall’autonomia privata mediante clausole di prelazione. Il Consiglio di Stato ha evidenziato che quando la clausola di prelazione figura nello statuto di una società a partecipazione pubblica, pone, tuttavia, una barriera protettiva non soltanto all’ingresso dei terzi estranei, come è per una società di diritto comune, ma anche, per quanto indirettamente, all’ingresso di un interesse estraneo e potenzialmente confliggente con gli interessi pubblici perseguiti con tale mezzo dai soci pubblici e sintetizzati nella costituzione della società e nella partecipazione pubblica ad essa quale strumento indiretto per realizzare obiettivi di interesse pubblico.
Rassegna stampa in collaborazione con Mimesi s.r.l.
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